![Una giornata che deve unire tutti](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/10/1739165185-aztgqark0mzhzbpw1wnc-marco-ottico-lapresse.jpeg?_=1739165185)
Il 10 febbraio deve unire e non dividere. Nel fine settimana una raffica di scritte oltraggiose sta infangando i simboli del ricordo della tragedia delle foibe e del dramma dell'esodo in mezza Italia. Ogni anno qualche nostalgico del passato, orfano di Tito, compie sciocchi atti vandalici, ma questa volta si registra una preoccupante impennata. Il sospetto è che siano giovani frange di intolleranti a provocare gettando benzina sul fuoco.
Tutta un'altra storia rispetto alle attualissime parole del Presidente Ciampi, del 9 febbraio 2005, durante la prima celebrazione del giorno del Ricordo, 20 anni fa. «Auspico, in questo spirito, che la Giornata del 10 febbraio, ispirata a sentimenti di riconciliazione e di dialogo, lasci un'impronta nella coscienza di tutti noi - sottolineava il capo dello Stato - italiani, europei, cittadini di un mondo che solo una rinnovata unità di ideali e di intenti democratici potrà rendere veramente migliore».
Il ricordo delle foibe e dell'esodo è stato volutamente sepolto da un tabù di Stato, in nome della realpolitik, per oltre mezzo secolo, ma adesso che l'85% degli italiani conosce questi crimini, rispetto al 15% del 1996, è necessario fare un passo in avanti. Il 10 febbraio non deve essere solo la data simbolo di una parte, ma va condivisa da tutta la comunità nazionale, che si riconosce nella patria e non può accettare un crimine, a lungo nascosto, mirato contro gli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia.
La consapevolezza che il giorno del Ricordo deve unire e non dividere dovrebbe partire proprio da Trieste, che porta le cicatrici indelebili degli orrori del 900 con due monumenti simbolo: la foiba di Basovizza e la Risiera di San Sabba. Purtroppo, a cominciare dal capoluogo giuliano, non riusciamo a superare astio e recriminazioni ideologiche ancorate allo scorso secolo devastato dagli opposti totalitarismi.
Alcune frange dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia sostengono che «le foibe furono un prodotto della repressione nazifascista in Slovenia e in Croazia» punto e basta. Un'assurdità, ma non possiamo e dobbiamo nascondere con il paravento della pulizia etnica e politica di Tito, che le forze italiane hanno fatto carne di porco degli slavi durante la guerra, seppure non al livello delle SS, e anche prima il fascismo non era esente da colpe. Un crimine, però, non può giustificare un altro crimine, come se fosse chiodo schiaccia chiodo, compiuto per di più a conflitto finito, in tempo di pace. Il 10 febbraio non è nato per strappare pagine dalla nostra storia o riscriverla per interessi elettorali, ma solo per rimettere al suo posto la pagina a lungo strappata delle foibe e dell'esodo.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, può pure non piacere, ma ha ragione quando assieme all'allora capo di Stato sloveno, Borut Pahor, mano nella mano davanti alla foiba, ricordava che è necessario «compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall'altra, l'unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando sentimenti di rancore, oppure al contrario farne patrimonio comune nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione e condivisione del futuro».
L'obiettivo vero del giorno del Ricordo
deve essere unire e non dividere gli italiani attorno alla tragedia delle foibe. Questo è l'unico esempio da lasciare, al passaggio di testimone ai giovani, alle generazioni future, che avranno il compito di non dimenticare,
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