Processo a colui che fu uno dei magistrati più potenti d'Italia, Riccardo Fuzio. Ma anche processo a uno scoop giornalistico, gli articoli che rivelarono una parte cruciale dei veleni della Procura di Roma. A chiederlo è la Procura di Perugia, che accusa Fuzio di rivelazione di segreti d'ufficio per una «soffiata» che fece a Luca Palamara; e sullo stesso banco degli imputati vuole portare Palamara e il suo ex collega Stefano Fava, accusati di essere le fonti dello scoop che rivelò i veleni romani. La richiesta è stata notificata ieri agli indagati.
La vicenda che riguarda Fuzio è tanto semplice quanto significativa: il 3 aprile 2019 l'allora procuratore generale della Cassazione avvisa Palamara che al Csm è arrivato un esposto contro Giuseppe Pignatone, capo della Procura romana, e contro il suo vice Paolo Ielo. Cose che Fuzio, membro di diritto del Csm, dovrebbe tenere per sé: invece spiega a Palamara non solo che l'esposto è arrivato ma anche come verrà trattato. D'altronde Fuzio e Palamara sono buoni amici, militano nella stessa corrente. Nulla di inconsueto, ma la rivelazione è un reato.
Più complessa ma forse più interessante la storia dello scoop. Anzi, degli scoop. Perché il 29 maggio sulle prime pagine di alcuni giornali finiscono due notizie diverse e in qualche modo opposte. La Verità e il Fatto Quotidiano rivelano dell'esistenza dell'esposto contro Pignatone e Ielo, firmato dal pm romano Stefano Fava. La stessa mattina, Corriere e Repubblica rivelano invece che al Consiglio superiore della magistratura sono arrivate dalla Procura di Perugia delle carte che accusano Luca Palamara, lo zar delle correnti delle toghe.
Entrambi gli scoop hanno alla base, come ogni scoop che si rispetti, atti segreti. Chi sia la fonte di Corriere e Repubblica non si sa. Sulla fonte di Verità e Fatto, invece, la Procura di Perugia ha le idee chiare: e chiede di processare Palamara e Fava per rivelazione di segreto d'ufficio, perché «violando i doveri inerenti alla propria funzione rivelavano a giornalisti dei due quotidiani notizie che dovevano rimanere segrete». Il problema è che negli atti dell'indagine non c'è traccia che siano stati Palamara e Fava a passare sottobanco la storia dell'esposto contro Pignatone. Anzi, interrogati sotto giuramento i due cronisti autori degli articoli hanno escluso che le fonti siano stati i due. La notizia dell'esposto, hanno detto, peraltro circolava nell'ambiente e ne ebbero conferme da più versanti. Ma né da Fava né da Palamara. I due cronisti peraltro sostengono di avere lavorato uno all'insaputa dell'altro.
L'unica certezza è che il 29 maggio di due anni fa lo scontro interno alla Procura di Roma si trasferì sui mezzi di comunicazione ad opera dei due fronti in guerra, che usarono ognuno le proprie armi come accade da sempre. Ma si è indagato solo su uno degli scoop.
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