Il giudizio metafisico sulla pandemia

Non sempre c'è un colpevole, non per tutto, non per forza

Il giudizio metafisico sulla pandemia

Non sempre c'è un colpevole, non per tutto, non per forza. Non capita spesso di difendere Giuseppe Conte, ma se davvero a Bergamo si apre un processo su negligenze e omissioni del governo durante la pandemia si supera un confine. È una sorta di giustizia metafisica. Non è la prima volta che accade. È successo con i terremoti, con le alluvioni, con condanne come a Genova, con la magistratura che si ritrova a valutare scelte che hanno a che fare con la discrezionalità politica. È il 21 febbraio 2020 e a Codogno viene identificato il «paziente zero». In realtà non lo è, perché il Sars Cov 2 è in Italia già da un po' di tempo solo che ancora nessuno lo sa. Il virus non è più una questione cinese. I focolai si accendono velocemente e sulla bergamasca si abbatte uno tsunami di contagi. L'undici marzo anche l'Organizzazione mondiale della sanità certifica che c'è una pandemia. A Palazzo Chigi c'è Giuseppe Conte, sostenuto da una maggioranza con Cinque Stelle, Pd e Leu. È il Conte bis, dopo la rottura con Salvini. Non è certo un governo fortunato. Ci sono stati errori? Certo. La scelta di non chiudere i viaggi con la Cina non è saggia. Sulle zone rosse ci sono tentennamenti e ritardi. Si accusano gli altri ma la decisione finale spettava al governo. La responsabilità però resta politica. Nessuno in Italia si sarebbe voluto trovare al posto di Conte. Nel marzo del 2020 non c'erano ricette magiche per frenare la pandemia. Tutto il mondo si è ritrovato spiazzato. L'Italia, oltretutto, è il primo Paese occidentale a fare i conti con la pandemia. Il brutto è che gli altri non ne hanno fatto tesoro. Tutti hanno fatto errori, tutti hanno fatto il possibile. Tutti in qualche modo hanno pagato. Solo che il giudizio in questi casi non tocca ai giudici. Se si vuole capire quello che è successo meglio un'indagine parlamentare, una commissione d'inchiesta. La sanzione resta però politica. È il sale e il senso della democrazia.

È l'elettore, a torto o a ragione, votando di pancia o di testa, incavolato o disilluso che valuta l'azione del governo. Chiede il conto. La ricerca di reati specifici da parte della magistratura, davanti all'imponderabile, è una illusione. Ci sarà sempre il sospetto che il giudizio sia politico, con la ricerca di un capro espiatorio.

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