«La riforma della giustizia è una priorità», avverte Giorgia Meloni. E lo ribadisce dopo le polemiche delle ultime settimane sulla linea «garantista» espressa dal ministro Carlo Nordio, soprattutto dopo l'annuncio di voler dare una stretta alle intercettazioni per limitarne gli abusi. Ma anche di voler modificare i reati di abuso d'ufficio - il più contestato ai sindaci - e di traffico di influenze. Le opposizioni hanno annunciato barricate. Ma Meloni nella conferenza stampa di fine anno blinda il titolare di via Arenula: la giustizia è una materia «delicata da maneggiare con molta cura ma questo governo ha una visione molto equilibrata, abbiamo un ottimo ministro e lo rivendico, coadiuvato anche dai partiti di maggioranza e molto deciso ad andare avanti, quindi nei prossimi mesi lavoreremo sulla riforma secondo i capisaldi storici del centrodestra, penso alla separazione delle carriere e questo può aiutare l'Italia da vari punti di vista: nel rapporto tra Stato e cittadini, per gli investimenti e il Pnrr». La separazione delle carriere tra pm e giudici era anche uno dei punti dei referendum proposti dal centrodestra e a cui aveva aderito anche Fratelli d'Italia. Nonché un vecchio cavallo di battaglia soprattutto degli azzurri. Va detto che con la riforma Cartabia è stata limitata a una sola volta la possibilità di passare dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti. La separazione invece prevederebbe due percorsi paralleli e distinti. Quanto al processo penale, riformato dal governo Draghi che ha superato la prescrizione con l'introduzione dell'improcedibilità - il processo si blocca in appello se non rispetta i tempi -, anche quello, dice Meloni, andrà modificato: «Bisogna tornare alla prescrizione come fondamento dello stato di diritto. Altrimenti si rischia un sistema in cui si possono avere indagati o imputati a vita. Credo che su questo ci sia consenso trasversale e questo è uno degli elementi che ci stanno a cuore». E la premier conferma il parere favorevole del governo all'ordine del giorno presentato da Enrico Costa (Azione) con l'obiettivo di cancellare la riforma della prescrizione introdotta nel 2019 dalla cosiddetta legge Spazzacorrotti, che bloccava il decorso del termine dopo la sentenza di primo grado.
Sulle intercettazioni, dopo le polemiche contro il ministro Nordio, Meloni assicura che «non intendiamo privare la magistratura dello strumento delle intercettazioni, ma intendiamo limitare l'abuso. Alcune intercettazioni sono finite sui quotidiani e non avevano alcuna rilevanza, non credo che questo sia giusto in uno stato di diritto. Degli abusi ci sono stati e vanno corretti e la norma che vogliamo fare è garantire lo stato di diritto, nello stesso tempo vogliamo garantire certezza della pena per i colpevoli e certezza del diritto per gli innocenti». Infine rivendica uno dei primi atti del governo, quello sull'ergastolo ostativo. Un passaggio obbligato anche dai tempi imposti dalla Corte Costituzionale, che invano aveva dato al Parlamento un anno e mezzo per legiferare sulla materia. Il nuovo governo appena insediato ha firmato decreto legge che recepisce il testo approvato dalla Camera - ma non dal Senato - il 31 marzo scorso, che di fatto conferma i principi dell'ergastolo ostativo, anche se Fdi dall'opposizione chiedeva una stretta ancora maggiore: «Tutta la mia carriera politica è stata ispirata a Borsellino e continuerà ad esserlo. Sono stata fiera e contenta che il mio primo provvedimento è stato sulla mafia, salvando il carcere ostativo. Mi dispiace aver visto una opposizione così dura su un provvedimento di questo genere. Si è tentato in tutti i modi di impedire una conversione del decreto».
Il premier risponde anche al leader del M5s Giuseppe Conte, che sul punto ha accusato il governo di alimentare «la cultura dell'omertà»: «La morale da chi era al governo e ha liberato i boss mafiosi al 41bis con la scusa del Covid e da chi ha approvato il condono di Ischia non me lo faccio fare, credo che ognuno risponda per propria coscienza».
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