Golpe dei filorussi in Sudan: bombe e morti nella capitale

Scontri tra l'esercito e i paramilitari appoggiati dal gruppo Wagner. La Farnesina: "Italiani state in casa"

Golpe dei filorussi in Sudan: bombe e morti nella capitale

Non è ancora chiaro, anche se molto probabile, se dietro il tentativo di golpe in Sudan ci sia la mano della milizia russa Wagner, dopo che ieri il principale gruppo paramilitare del Sudan ha sequestrato il palazzo presidenziale, la residenza del capo dell'esercito e l'aeroporto internazionale di Khartoum. Ma è un fatto che il gruppo armato che impedisce la transizione di potere verso un governo civile, la RSF, ha collegamenti diretti con l'esercito privato guidato da Evgenij Prigozhin. Testimoni hanno riferito di aver visto camion carichi di soldati fare irruzione nei tre siti in questione, fatti smentiti dall'esercito, secondo cui l'aeroporto e altre basi permangono sotto il loro «pieno controllo», passaggio testimoniato dalla pubblicazione di una foto del quartier generale della RSF da cui saliva un fumo nero. L'esercito ha accusato i paramilitari di aver bruciato aerei di linea civili all'aeroporto e la compagnia di bandiera saudita Saudia ha dichiarato di aver sospeso tutti i voli dopo che uno dei suoi aerei «è stato coinvolto in un incidente». Al momento un primo bilancio parla di 25 morti durante gli scontri (2 uccisi all'aeroporto e un altro nel Nord Kordofan) e 183 feriti, così come raccontato da un gruppo di medici sudanesi. Teatro dei combattimenti un'area nei pressi dell'ambasciata italiana. Creata nel 2013, l'RSF è una costola della milizia Janjaweed che l'allora presidente Omar al-Bashir aveva utilizzato contro le minoranze non arabe nella regione occidentale del Darfur. La possibile integrazione di queste milizie nell'esercito regolare del paese è il nodo fra le parti, visto che la firma sull'accordo non è mai arrivata, nonostante vari tentativi di mediazione. L'escalation di violenza in Sudan giunge dopo varie settimane di forti tensioni tra il leader militare Abdel Fattah al-Burhan e il suo numero due, il comandante Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemedti. Quest'ultimo ha annunciato le barricate: «Non smetteremo di combattere fino a quando non cattureremo tutte le basi dell'esercito e gli onorevoli membri delle forze armate non si uniranno a noi». Vari soggetti non militari del Sudan hanno invitato entrambe le parti «a cessare immediatamente le ostilità ed evitare che il Paese scivoli nell'abisso del collasso totale», appello che ha fatto suo anche l'ambasciatore statunitense John Godfrey, che ha twittato di essersi svegliato «sotto i suoni profondamente inquietanti degli spari e dei combattimenti». «Seguo con attenzione quanto sta succedendo a Khartoum. La nostra ambasciata, pienamente operativa, ha avvisato i connazionali di restare in casa. L'unità di crisi monitora gli sviluppi», ha twittato il Ministro degli esteri italiano Antonio Tajani. Il rischio concreto, al momento, è che una guerra aperta tra RSF e l'esercito possa condurre rapidamente il Sudan ad un conflitto permanente, vanificando così gli sforzi per andare ad elezioni ed esacerbando una situazione che potrebbe impattare negativamente anche sui flussi migratori. Spettatore interessato al tentato golpe è l'occidente, conscio che ormai gran parte dell'Africa è sotto l'influenza di Cina e Russia.

Lo dimostra l'azione pressante in tutta quest'area africana condotta dalla Wagner, la milizia di paramilitari russi utilizzata dal Cremlino per politiche ibride, che agisce a quelle latitudini sin dal 2019 per rispondere al vuoto francese. La tattica usata è quella di affiancare i locali nell'impedire o nel favorire i colpi di stato, per poi avere accesso alle risorse naturali.

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