"Il governo nega il valore dell'informazione"

Il presidente Fieg Andrea Riffeser Monti: "Solo 20 milioni all'editoria sono una giravolta inspiegabile"

"Il governo nega il valore dell'informazione"
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Giravolta inspiegabile. I soli 20 milioni di euro destinati al settore dell'editoria per il prossimo anno lasciano basito il presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg), Andrea Riffeser Monti, che confida in un celere ripensamento.

Raggiunto dal Giornale, il massimo esponente della Fieg non ha lesinato critiche all'atteggiamento mostrato dall'attuale esecutivo che fino a poco tempo fa si era invece mostrato aperto ad andare incontro alle esigenze di un settore in palese affanno.

È una questione di mancanza di risorse o c'è dell'altro?

«I soldi se si vuole si trovano, è chiaro. Basta guardare a quanto successo recentemente con l'automotive, con i miliardi arrivati quando è cambiato il rapporto con Stellantis. È per questo che siamo rimasti veramente storditi da questo cambiamento repentino. Il punto nodale è la volontà politica. Ci sono settori che hanno beneficiato di fondi ben più consistenti. Certo ognuno ha le sue esigenze, ma questa disparità di trattamento suona molto male».

Oltretutto, c'erano state anche delle rassicurazioni in merito.

«Non più tardi di due settimane fa Alberto Barachini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'Editoria, aveva esternato l'impegno del governo per incrementare i fondi agli editori. Così non è stato. Questo governo in due anni non ha mai affrontato una vera legge per l'editoria, è mancato un rapporto con i giornalisti, un rapporto con gli editori. Non c'è la volontà di discutere, di affrontare la questione. Probabilmente molti giornali delle volte hanno affrontato dei temi spinosi, però tutto si discute e tutto si può risolvere».

Uno strappo che può ancora essere ricucito?

«Il margine di manovra esiste sempre, ma deve esserci la volontà. Oggi, domani o dopodomani. Il problema è che l'attuale esecutivo non riconosce il valore dell'informazione, non riconosce che i giornalisti e i collaboratori che vivono nelle redazioni creano le notizie dove poi tutti attingono, tutti i mezzi d'informazione, la radio, la tv; basta vedere la rassegna stampa e gli stessi politici che riprendono quanto letto sui giornali, non su Instagram o su X o su Facebook. L'editoria è ancora aggrappata ai sussidi dell'ultimo governo Draghi, che avevano trovato l'assenso anche dall'opposizione di allora, ossia la Meloni. Questa giravolta dopo due anni di governo è veramente inspiegabile».

Quindi difficile aspettarsi un ripensamento dell'ultimo minuto?

«C'è sempre la quiete dopo la tempesta, quindi confidiamo in un ripensamento e in un dialogo costruttivo».

Qual è la dotazione minima che serve all'editoria per evitare gravi ricadute? L'emendamento a firma Forza Italia prevedeva uno stanziamento di 136 milioni per il 2025.

«Bisogna ricordare che non si parla solo di giornali, c'è dentro tutta la filiera che va dall'assunzione dei giovani alle edicole, passando per i finanziamenti per l'innovazione tecnologica che riguarda anche il settore radiotelevisivo. Il nostro settore all'epoca di Draghi valeva 80 milioni, il resto era distribuito a tanti altri settori dell'audiovisivo e soprattutto per il ripristino dell'innovazione tecnologica. Non si parla solo di quotidiani».

L'innovazione corre, l'editoria come può preservare il suo spazio?

«I giganti del web stanno indirizzando la pubblicità, profilano il lettore come vogliono e ti danno la pubblicità a misura d'uomo. Siamo ovviamente in un momento di profilazione selvaggia, cosa che in dieci anni ha tolto il 50% della pubblicità ai quotidiani. Il mondo cambia, d'accordo, però non possono esistere delle aziende monopolistiche, prima o poi vanno smantellate. Inoltre, mi faccia dire una cosa sui social. I quotidiani, così come i siti dei quotidiani, hanno un direttore responsabile, pertanto chi viene attaccato può rivolgersi all'autorità competente.

Nei social invece abbondano i profili fake che possono immettere notizie false e nessuno riesce a perseguirle. Noi insistiamo nel dire che questo è il vero tema e che andrebbe risolto con la carta d'identità. Ossia ognuno di noi deve depositare la carta d'identità prima di poter aprire un dialogo sul web».

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