Governo a rischio, parlare di legge elettorale torna di moda

Le fibrillazioni nella maggioranza giallorossa sulla manovra finanziaria e le defezioni di quattro senatori grillini in occasione del voto sul Mes riportano d’attualità la discussione sull’ennesima riforma della legge elettorale

Governo a rischio, parlare di legge elettorale torna di moda

Le fibrillazioni nella maggioranza giallorossa sulla manovra finanziaria e le defezioni di quattro senatori grillini in occasione del voto sul Mes riportano d’attualità un’eventuale ritorno alle urne e l’inevitabile discussione sull’ennesima riforma della legge elettorale.

Il dibattito sulla riforma elettorale

Il Pd, tradizionalmente favorevole a un sistema maggioritario a doppio turno, è dovuto venire a patti col M5S che, invece, ha sempre sostenuto la necessità di tornare al proporzionale, un sistema elettorale gradito alla vecchia Lega di Umberto Bossi, ma non a quella di Matteo Salvini. Il leader del Carroccio, dopo aver raccolto le firme per referendum che abroghi la quota di proporzionale vigente nel Rosatellum bis, in una recente intervista al Corriere della Sera, ha dichiarato: “Se arrivasse un sistema con adeguati sbarramenti, con i collegi adeguatamente disegnati, di certo la Lega non fermerà tutto per otto mesi a dire no al proporzionale”. Tradotto: se proporzionale deve essere, che si adotti il sistema spagnolo. E, a questo punto, a bloccare un’intesa che sembra accontentare tutti, entra in scena Italia Viva che verrebbe molto penalizzata da una legge del genere. L’editorialista del Corriere della Sera Francesco Verderami ha spiegato che Matteo Renzi considera “lo spagnolo come la peste per i suoi effetti maggioritari nei collegi: prendesse il 4%, per esempio, rischierebbe di ottenere l’equivalente del 2% di seggi. In tal caso, preferirebbe far saltare tutto per tenersi il Rosatellum”.

Come si vota all'estero?

In questo campo, tra maggioritario, proporzionale e sistemi misti, regna la confusione ed è bene fare chiarezza. Iniziamo dal maggioritario, chiamato anche sistema uninominale, presente nei Paesi che hanno una forma di governo presidenziale (Stati Uniti), semipresidenziale (Francia) o dove vige una sorta di ‘premierato’ (Gran Bretagna). Negli Usa il capo dello Stato è anche il capo del governo e viene eletto indirettamente dal popolo. Ognuno dei 50 Stati americani e il Distretto della Columbia elegge un numero di parlamentari, i cosiddetti Grandi elettori, che poi, una volta a Washington, voteranno (di fatto, ratificheranno la scelta fatta dagli elettori) il presidente degli Stati Uniti. Questo numero varia a seconda della popolazione di ogni singolo Stato e, pertanto, alcuni Stati come la California o il Texas contano più di altri. Può anche succedere, com’è avvenuto nel 2016 con Donald Trump, che vinca il candidato che sul territorio nazionale prende meno voti ma vince in più Stati o comunque ottiene più Grandi elettori del suo avversario. In Francia, invece, diventa Capo dello Stato il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti degli elettori francesi, ma dato che questo non è mai avvenuto il capo dell’Eliseo è sempre stato scelto al ballottaggio. Il capo del governo viene nominato dal presidente della Repubblica in base ai risultati elettorali delle elezioni per l’Assemblea nazionale, per le quali vige un sistema uninominale a doppio turno. In questo caso, però, al ballottaggio non vanno solo i primi due classificati del primo turno, ma tutti i candidati che hanno ottenuto più del 12,5%. Se uno di questi si rifiuta di correre, però, non subentra nessun altro candidato al suo posto. Può, dunque, avvenire che, accanto al candidato gollista e socialista, vi sia anche quello lepenista oppure che il candidato dei Verdi si ritiri per impedire la possibile vittoria di un candidato non di destra o di estrema destra. In Gran Bretagna il Capo dello Stato è la Regina Elisabetta, mentre diventa premier il capo del partito che vince più collegi uninominali o che riesce a dar vita a un governo di coalizione con un altro partito. Un’eventualità già verificatasi nel 2010 quando il conservatore David Cameron strinse un accordo con i liberaldemocratici e più recentemente con Theresa May e Boris Jhonson che hanno governato insieme ai nordirlandesi.

In Spagna, invece, vige un sistema proporzionale con i listini bloccati (senza cioè la possibilità di esprimere voti di preferenza) e una soglia di sbarramento del 3% che non si applica a livello nazionale, ma ad ogni singola circoscrizione così da avvantaggiare i partiti grandi senza penalizzare quelli con una forte connotazione territoriale (come quelli baschi o catalani). Il sistema elettorale della Germania si basa su un proporzionale con una soglia di sbarramento al 5%, ma prevede anch’esso dei correttivi maggioritari per la scelta del cancelliere (che viene comunque eletto dal Parlamento dopo il voto). La metà dei deputati viene eletta attraverso i collegi uninominali dove vince chi prende la maggioranza relativa dei voti, mentre l’altra metà viene eletta attraverso il proporzionale con listini bloccati. In realtà, però, la precedenza spetta ai politici eletti col maggioritario. Mi spiego meglio. Se a un partito spettano 100 seggi e ne ha conquistati 70 nei collegi uninominali, eleggerà solo 30 deputati con i listini bloccati.

Le leggi elettorali in Italia

Nel nostro Paese, dal Secondo dopoguerra, è stato adottato il sistema proporzionale che, dalla Seconda Repubblica fino ai nostri giorni, è stato modificato svariate volte per introdurvi dei correttivi maggioritari che raramente hanno portato la governabilità sperata. Nel 1946 i padri costituenti hanno introdotto un proporzionale puro, volto a far dimenticare la legge Acerbo del 1923 che prevedeva un maggioritario con premio di maggioranza dei 2/3 dei seggi per la coalizione che, a livello nazionale, otteneva più del 25% dei voti. Un sistema che consentì a Benito Mussolini di ottenere una maggioranza che oggi chiameremo ‘bulgara’ e che gli permise di instaurare la dittatura. La legge del ’46 stabiliva che alla Camera ogni partito (o lista) eleggesse un certo numero di parlamentari in proporzione al numero di voti ottenuti, senza che vi fosse una qualche soglia di sbarramento o un qualche premio di maggioranza. Era, invece, ammesso il voto di preferenza per i candidati. Per il Senato c’era un sistema fintamente maggioritario in quanto la ripartizione dei seggi avveniva su base regionale. Ogni Regione era suddivisa in vari collegi uninominali e il seggio veniva assegnato soltanto al candidato che superava il 65% dei voti. Una condizione che, nella realtà, non si verificava praticamente mai e, pertanto, i seggi anche a Palazzo Madama venivano redistribuiti con il proporzionale. L’unica tornata elettorale della Prima Repubblica in cui si votò con un sistema diverso da questo fu nel 1953 quando Alcide De Gasperi impose l’introduzione della cosiddetta “legge truffa” che garantiva un premio di maggioranza del 65% alla coalizione che avesse preso almeno il 50%+1 dei seggi. La coalizione guidata dalla Dc e dai partiti laici che la sostenevano si fermò al 49% e l’anno seguente tale legge fu abrogata. Dal ’53 fino ai primi anni ’90 resta tutto immutato.

Sistemi elettorali in Italia
Infografica a cura di Alberto Bellotto

Nel 1993, dopo i referendum promossa da Mario Segni, il Parlamento già travolto dall’inchiesta Mani Pulite, approva il Mattarellum, un sistema elettorale misto così chiamato dal nome del suo relatore, l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Tale legge stabiliva che il 75% dei parlamentari venisse eletto con un maggioritario a turno unico, mentre il restante 25% dei seggi veniva assegnato attraverso il recupero proporzionale dei più votati non eletti al Senato. Per la Camera, invece, quel 25% di seggi era redistribuito con un proporzionale che prevedeva le liste bloccate e una soglia di sbarramento del 4%.

Nel 2005 si passa al Porcellum, nome dato dal politologo Giovanni Sartori dopo che il relatore Roberto Calderoli la definì “una porcata”. La sua legge aboliva i collegi uninominali e non ammetteva le preferenze. In compenso, però, si assegnava un premio di maggioranza per la coalizione vincente su base nazionale per la Camera e su base regionale per il Senato. La caratteristica principale di questa legge erano le diverse soglie di sbarramento che tendevano a favorire le coalizioni. Per la Camera la soglia era del 4% per la lista o il partito che correva da solo, mentre era del 10% per le coalizioni. Partecipavano, poi, alla ripartizione dei seggi i partiti (o le liste) che, all’interno di tali coalizioni, ottenevano almeno il 2% e il partito (o la lista) miglior perdente che non raggiungeva tale soglia. Per il Senato la soglia di sbarramento era dell’8% per chi decideva di fare una corsa in solitaria, mentre saliva al 20% per le coalizioni e del 3% per i partiti (o le liste) che ne facevano parte.

Nel 2014 è la volta del Consultellum, una legge elettorale mai entrata in vigore e così chiamata perché derivante dagli effetti del pronunciamento della Corte Costituzionale su alcuni aspetti del Porcellum. La Consulta abrogava, di fatto, il premio di maggioranza per la coalizione vincente perché privo di una soglia minima di voti e reintroduceva le preferenze in quanto i listini bloccati molto lunghi impedivano la riconoscibilità degli eletti da parte degli elettori.

Nel 2015 Matteo Renzi fa approvare l’Italicum, una legge elettorale valida solo per la Camera in quanto si dava per scontata l’approvazione della riforma costituzionale e, quindi, l’elezione indiretta dei senatori. Si trattava di un maggioritario che al primo turno attribuiva un premio di maggioranza alla lista che avesse ottenuto almeno il 40% dei voti a livello nazionale, altrimenti il vincitore si sarebbe deciso al ballottaggio. Vi era, inoltre, una soglia minima di sbarramento del 3% per le liste, mentre i parlamentari sarebbero stati eletti nei collegi plurinominali con listini in cui era bloccato solo il nome del capolista. Si ammetteva per la prima volta la doppia preferenza di genere. Era, in sintesi, una legge elettorale che tendeva a ricalcare quella usata per l’elezione dei sindaci con oltre 15mila abitanti, ma che non entrò mai in vigore.

Dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, arriva una nuova sentenza della Consulta che mette una pietra tombale sull’Italicum e partorisce il Legalicum, abrogando il ballottaggio per la Camera e ripristinava il Consultellum per il Senato. Nel 2017 viene introdotto il ‘Rosatellum (bis)’, un sistema elettorale misto che prevede il maggioritario a turno unico per il 37% dei seggi, il proporzionale con voto di preferenza per il 2% di eletti all’estero e il 61% di seggi ripartiti con il proporzionale e i listini plurinominali corti e bloccati. La soglia di sbarramento per i partiti è del 3% a livello nazionale alla Camera e a livello regionale al Senato, mentre è al 20% per i partiti che rappresentano le minoranze linguistiche in una determinata regione. Per le coalizioni la soglia minima è del 10%, percentuale che scende al 3% per i partiti o le liste che sostengono tali coalizioni. Ma non è finita qui.

I voti dei partiti o delle liste che prendono più dell’1%, anche se non sono utili per ottenere dei seggi, vanno alla coalizione incrementando così la percentuale finale dei partiti maggiori. In conclusioni, solo noi abbiamo leggi elettorali così complicate...

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