La sensazione è che il copione di questi giorni si ripeterà: i migranti maschi, maggiorenni e in buona salute trovati nel Mediterraneo dalle nostre navi militari arriveranno al porto albanese di Shengjing e verrano identificati e portati all'hotspot di Gjader, come prevede l'accordo tra il premier Giorgia Meloni e l'omologo Edi Rama firmato a Roma il 6 novembre 2023 e ratificato con il 21 febbraio 2024. A quel punto la sezione Immigrazione di un tribunale in videocollegamento dovrà decidere se concedere loro il diritto d'asilo o se viceversa i migranti potranno essere rimpatriati con una procedura accelerata in 48 ore se il loro Paese è sicuro anche per il giudice, altrimenti (con sentenze di fatto fotocopia) verranno riportati in un Centro di prima accoglienza in Puglia e da lì ripartirà l'iter tradizionale per il loro rimpatrio, una robina da due anni o giù di lì. Tutti i provvedimenti - come da giurisprudenza ormai consolidata, vedi le 15 sentenze da Roma, Bologna e Palermo - avranno gli stessi distinguo delle ultime sentenze svuota Cpr, vedasi le ultime due del tribunale civile capitolino di ieri pomeriggio: trattenimento nel Cpr albanese di Gjader sospeso, quesiti pregiudiziali sui Paesi sicuri previsti dal decreto legge 158/2024 sottoposti alla Corte di giustizia Ue, tutela del diritto del richiedente asilo. Solo il tribunale di Catania ha annullato i trattenimenti ritenendo la normativa europea già di per sé chiara. Non se ne esce e non se ne uscirà nemmeno il prossimo 4 dicembre, quando pacificamente anche la Cassazione, tirata per la giacchetta, lancerà la palla alla Corte Ue.
«Tema molto controverso, è questa la sede giusta per definire un problema che sarebbe stato meglio non fosse sorto», sottolinea a Milano il presidente del Senato Ignazio La Russa. Se ne parlerà tra più di otto mesi, nel luglio 2025. Poi ci vorranno altri mesi per sapere se i giudici condividono la lista dei Paesi sicuri stilata dall'esecutivo nel decreto legge dei giorni scorsi (nel ricorso del Viminale trapela un cauto ottimismo) o se infine prevarrà l'interpretazione più restrittiva di «Paese sicuro» per cui basterà una zona o una minoranza a rischio e il rimpatrio veloce è vietato.
Una parte della magistratura è convinta che il governo sapeva che la normativa e il decreto legge successivo fossero «tecnicamente sbagliati». «Come altre volte volevano scaricare sulla magistratura un insuccesso, per accelerare la riforma delle separazione delle carriere», sibila la vicepresidente Anm Alessandra Maddalena.
Ecco perché i due hotspot in Albania non dovrebbero chiudere. Anzi. Lo si capisce dall'avviso con cui la Prefettura di Roma fa un bando da 3,2 milioni l'anno Iva compresa per «manutenzione ordinaria, straordinaria, presidio e full risk degli impianti elettrici, clima, idraulici, sicurezza, informatici, tlc e moduli abitativi di Shengjin e Gjader».
L'opposizione si gode la scenetta, come dimostra il post al veleno dell'ex premier M5s Giuseppe Conte, che definisce l'intesa con l'Albania «un gioco dell'oca da quasi un miliardo che porta in Albania centinaia di forze dell'ordine, mandando avanti e indietro con costosi viaggi una ventina di migranti mentre ne sono sbarcati quasi 7mila in un mese». «Il governo chieda scusa perché insiste in maniera allucinante su un costoso modello in contrasto con le regole», sibila il capogruppo Pd in Lombardia Pierfrancesco Majorino.
Intanto la rotta del Mediterraneo centrale è sempre meno gettonata dagli scafisti: gli sbarchi sono calati del 62% tra gennaio e ottobre, con soli 55.
227 arrivi», riferisce l'agenzia Ue di controllo delle frontiere Frontex. Segno che qualcosa è cambiato grazie agli accordi bilaterali e che l'effetto deterrenza dell'Albania ancora funziona. Almeno fino alle prossime sentenze.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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