Lorenzo De Sio, ordinario di Scienza Politica alla Luiss, dirige il Centro Italiano di Studi Elettorali (Cise), e da lì osserva con un certo scetticismo il «partito per Draghi» che prende forma in Parlamento. «Quello che vedo è che, poiché Draghi ha una maggioranza molto ampia e composita, quando si entra nel concreto delle scelte politiche emergono inevitabili dissensi. È successo sul green pass e sui vaccini nel centrodestra, ed è successo sulla riforma della giustizia a sinistra e nei Cinque Stelle. Quindi questa area trasversale draghiana che si starebbe formando la vedo più che altro come una reazione agli scricchiolii nella maggioranza; un'area all'interno dei diversi partiti che vuole ribadire lealtà al governo e al premier».
Non vede lo spazio per una nuova area politica, ispirata all'agenda Draghi?
«Da politologo la vedo in maniera realista. I governi tecnici danno sempre l'illusione che possa esistere una politica ecumenica, buona e giusta per tutti; nella realtà quasi tutte le scelte politiche avvantaggiano alcuni gruppi sociali e ne svantaggiano altri. È la politica, e sarà così anche per molte misure del governo Draghi. Quando si immagina una nuova area politica, come appunto un ipotetico partito di Draghi, bisogna quindi chiedersi da quale elettorato prenderebbe i voti».
Lei che risposta darebbe?
«Da molti anni l'area politica di centro propone sempre nuovi soggetti popolari tra i commentatori che poi falliscono al voto. Nel 2012 Monti era accreditato anche di un potenziale 25% dei consensi, ma sappiamo poi come è andata. Anche Italia Viva di Renzi intendeva svuotare il Pd, invece non ha mai superato il 3%. La mia impressione è che in termini elettorali le politiche di Draghi non abbiano un potenziale così elevato. Anche perché il Pnrr per ora ha enunciato grandi progetti, ma non è ancora chiaro l'impatto sull'occupazione, che verosimilmente sarà poi quello più importante. Per ottenere i voti di milioni e milioni di cittadini bisogna sintonizzarsi con le loro priorità: non a caso i vari leader hanno spesso posizioni diverse rispetto a Draghi, perché interpretano le priorità dei loro milioni di elettori. Bisognerà vedere come l'agenda Draghi impatterà concretamente in termini percepibili dai cittadini per capire se e come potrà pesare alle prossime elezioni».
Di qui al 2023 ce n'è di mezzo un'altra, quella del capo dello Stato.
«Ecco, direi che questi posizionamenti parlamentari rispetto all'agenda Draghi sono piuttosto le prime manovre in vista dell'elezione del presidente della Repubblica, in cui Draghi è da tempo il convitato di pietra. L'orizzonte dei politici secondo me in questo momento è catturato dall'elezione del capo dello Stato (oltre che dalle amministrative d'autunno); solo dopo si penserà alle elezioni politiche».
Giorgetti ha detto che la decisione della Lega di entrare nel governo è un investimento sul lungo termine, mentre quello della Meloni di stare all'opposizione è un investimento speculativo.
«Io trovo che il centrodestra sia proprio per questo in una posizione più favorevole, proprio perché è in parte al governo e in parte all'opposizione, è sia di lotta che di governo. Se il governo Draghi avrà successo, Salvini e Berlusconi potranno rivendicarli come un loro merito, se invece il governo fallisce sarà la Meloni a capitalizzare.
In entrambi i casi guadagnerà comunque la coalizione di centrodestra. Chi rischia invece sono Pd e M5s che sono più legati al successo del governo Draghi. Che non è scontato, perché ha creato aspettative altissime. E questo è molto rischioso, perché potrebbe diventare un boomerang».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.