Al momento, la sinistra alla sinistra del Pd conta più aspiranti leader che elettori. E ben due di loro ricoprono cariche istituzionali, la seconda e la terza per la precisione: Laura Boldrini, presidente della Camera, e Piero Grasso, presidente del Senato. Oltre naturalmente all'amletico Giuliano Pisapia; a Pierluigi Bersani, che sotto sotto sogna di tornare alla guida di qualcosa e - last but not least - a Massimo D'Alema, che continua a pensare che «capotavola è dove mi siedo io» e che - non fidandosi, comprensibilmente, del fiuto politico dei suoi compagni di avventura - vuole avere pieno controllo del timone della sinistra anti-renziana.
Inizialmente, il leader in pectore della sinistra-sinistra avrebbe dovuto essere Pisapia. Ma i contrasti tra l'ex sindaco di Milano (che vuol lasciare aperta la prospettiva di un'alleanza post-elettorale col Pd) e Mdp (che, sulla linea dalemiana, vuole la morte del Pd) sono sempre più aspri, tanto che da giorni si parla di rottura ormai prossima. La Boldrini era la carta di riserva dello stesso Pisapia: se non mi candido io, era il ragionamento, una donna con esperienza istituzionale e sensibilità di sinistra è l'ideale.
E' stato dunque per dare un esplicito segnale di ostilità sia a Pisapia che alla Boldrini che l'altra sera, alla festa di Mdp, Bersani ha calato la carta Grasso. Un modo per spaventare l'ex sindaco di Milano, facendogli capire che, se si ostina a fare di testa sua e a non imbarcare D'Alema e tutta la compagnia radical che Mdp si vuol portare appresso (Sinistra italiana, Rifondazione, persino gli aspiranti parlamentari del Brancaccio, il diabolico duo Montanari-Falcone), loro sono pronti a cambiare leader. Un «ragazzo di sinistra», come si è prontamente definito Grasso, che è da tempo in rotta con il Pd («In Sicilia mi volevano tutti candidato, ora sono tutti freddi e lontani», lamenta) e non nasconde l'entusiasmo all'idea di diventare leader di qualcosa: «Se c'è la possibilità di fare un percorso visionario potrei starci», ha affermato in pubblico. «Fino a quando Mattarella non scioglie le Camere non mi candido a nulla - aggiunge con i suoi - ma registro con soddisfazione gli applausi di Mdp e Si sui temi di sinistra che difendo». E si tiene pronto. Dentro Mdp le valutazioni sono più concrete: Grasso, spiega un esponente, «ha immagine e popolarità a sinistra, è autorevole quanto Pisapia e in più ha il vantaggio di non essere un politico». Tradotto: sarebbe più facile da pilotare. D'Alema bacchetta però l'investitura bersaniana su Grasso, a dimostrazione dei dissidi tra i due aspiranti capi di Mdp: «Una scorrettezza grave tirarlo dentro le beghe dei partiti», dice. Mettere sul tavolo il nome di Grasso serve però anche a stoppare quello della dirimpettaia Boldrini, considerata troppo amichevole con il Pd, tanto da non aver mai escluso una candidatura nelle liste renziane.
Strani percorsi paralleli, quelli dei due presidenti. Entrambi novellini della politica, finiti quasi per caso nelle liste elettorali, lei di Sel e lui del Pd bersaniano (che gli aveva promesso il ruolo di ministro della Giustizia nel mai nato governo Bersani), come esponenti della «società civile»; e quasi per caso finiti ai vertici del Parlamento durante la convulsa fase post-elezioni del 2013, quando lo sconfitto Bersani si arrabattava disperatamente a lanciare esche ai grillini perché gli dessero i voti per formare il suo vagheggiato «governo del cambiamento».
Boldrini e Grasso vennero candidati, rispettivamente, a Montecitorio e a Palazzo Madama proprio per questo: come «non-politici», lei vicina alle istanze terzomondiste e movimentiste; lui proveniente dai ranghi della magistratura antimafia, che potevano - nelle speranze dell'allora leader Pd e aspirante premier - attirare i voti di Beppe Grillo. Ovviamente non accadde nulla di tutto ciò, e nei mesi e negli anni successivi il Pd ebbe a pentirsi più volte di quella scelta, maledicendo le malriposte ambizioni bersaniane.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.