Oggi boh, domani forse, magari la settimana prossima. «Se non viene lui da noi, andremo noi da lui», scherza Giuseppe Conte, che da giorni cerca invano un incontro con il patriarca del Movimento. Nel frattempo deputati e senatori si riuniscono con il leader in un'assemblea definita come «la fiera dell'assurdo» da un partecipante. Però il presidente pentastellato fa di tutto per stoppare i malumori. Ribadisce il suo «no al voto anticipato» per calmare i peones che hanno paura delle urne. Per il Quirinale parla di «scelta condivisa su una persona di grande profilo morale». Alla Camera manca Beppe Grillo, ma lui dalla sua casa di Genova continua a pensare a quella che ancora considera la «sua» creatura. Il M5s è sempre un caravanserraglio agitato, il Garante studia soluzioni. Tra le carte nel mazzo del comico c'è una «tentazione» - così riferisce chi l'ha sentito - che colpisce per la portata rivoluzionaria che avrebbe sul nuovo corso di Giuseppe Conte. Una specie di reset per scongiurare la possibilità di una scissione di una cinquantina di deputati e senatori decisi ad abbandonare la nave dopo la riffa del Quirinale. E allora ripartire dai territori e dalle donne. Con due figure pesanti al vertice, azzerando la squadra dei cinque vicepresidenti nominati da Conte e ad oggi non ratificati dal voto online. Nella testa del fondatore frullano i nomi di Virginia Raggi e Chiara Appendino, ex sindache di Roma e Torino. Dunque un presidente, Conte, con due vice autonome, Raggi e Appendino. «A quel punto Conte si occuperebbe solo della scuola di formazione politica», sorridono beffardi i tanti che non amano l'avvocato. Luigi Di Maio, a Cartabianca su Rai3, smentisce il dualismo con Conte e dice «non rimetterò più quella cravatta» tolta quando si è dimesso dalla guida del M5s. «Conte sarà brillante». Sul Quirinale invoca «un patto del silenzio» per non bruciare i nomi migliori e poi si precipita a Montecitorio alla congiunta.
Per ora la fascinazione di Grillo rimane nel cassetto, ma potrebbe essere tirata fuori al momento opportuno. E non dovrebbe esserci nemmeno bisogno di votare un'altra modifica allo Statuto, che non indica un numero preciso di vicepresidenti nominabili. In assemblea c'è qualche banco vuoto, molti parlamentari hanno optato per il weekend lungo e sono arrivati a Roma solo oggi. Conte si sfoga contro i giornalisti che dipingono un M5s diviso, popolato da «malpancisti». Chiama a raccolta tutti «contiani e non contiani» e ripete che «i cerchi magici non esistono». Cerca di buttare acqua sul fuoco e converge su Di Maio sull'ingresso dei grillini nella famiglia europea dei socialisti. Chiede ai parlamentari di «abbracciare il nuovo corso» e non farsi «ingannare dai giornali». Scavata la trincea sulla difesa a oltranza del reddito di cittadinanza. Richiami all'unità che vengono smentiti subito da un battibecco del leader con il senatore Primo Di Nicola, che aveva criticato duramente in chat il diktat sulle apparizioni tv solo per i cinque vicepresidenti. «Diktat? Attentato alla libertà di informazione? Quando usiamo le parole dobbiamo stare attenti», spiega Conte infastidito. A quel punto Di Nicola si alza e chiede di intervenire ma Conte lo blocca.
«Gli interventi ci saranno in un secondo momento», ammonisce. «Sarò a giorni fissi alla Camera e al Senato», promette. Intanto viene ratificata l'elezione di Mariolina Castellone come capogruppo a Palazzo Madama. E per Conte è la prima sconfitta.
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