La "guerra dei 30 anni" che ha ucciso la politica

Si chiude una stagione di fango che ha condizionato l'immagine pubblica del Cav

La "guerra dei 30 anni" che ha ucciso la politica

Non è un'inchiesta e nemmeno un processo, ma molto di più. È la metamorfosi del presidente del Consiglio in carica in un signore vizioso, un magnate a luci rosse che ha in testa solo quello e ha trasformato la villa di Arcore in una sorta di lussuoso motel frequentato da legioni di prostituite. È un colpo imparabile quello sferrato dal Fatto Quotidiano che ad ottobre 2010 racconta per la prima volta la storia di Ruby. C'è il sesso, ci sono lei e lui, ci sono ragazze bellissime disposte a tutto. E la stampa mondiale, non solo, quella italiana, si impadronisce in pochi giorni dell'indagine che sulla carta era segretissima e invece diventa argomento di conversazione ovunque. Le foto del Cavaliere con didascalie hot finiscono sulle prime pagine dei grandi quotidiani: Liberation, El Pais, Daily Telegraph e via elencando un'edicola intera. Escono verbali che sembrano sceneggiati da maestri del fumetto: ci sono Ruby e le Olgettine, una nuova versione lessicale del mestiere più antico del mondo, con nomi e cognomi, le loro richieste smisurate, i commenti acidi, i litigi furibondi. Poi c'è il bunga bunga, espressione che il Cavaliere - sempre da narrazioni di polizia a giudiziaria - avrebbe mutuato dal suo amico Gheddafi. Davvero in questa storia che si sviluppa in tempo reale non manca nulla: il fondale esotico, le immagini pruriginose e quelle fra l'umiliante e l'imbarazzante, una galleria incredibile di personaggi e le parole chiave che le opposizioni cavalcano.

Ruby diventa la nipote di Mubarak, sollecitando nuovi sarcasmi planetari, e la ragazza marocchina si porta dietro Nicole Minetti, l'igienista dentale e consigliera regionale che diventa il bersaglio fisso di molti articoli.

Insomma, si può discutere di tutto e criticare in modo serrato Berlusconi e il suo mondo, ma il punto è un altro: in quella fase, che è quella delle indagini, c'è una totale asimmetria fra accusa e difesa e dilagano le indiscrezioni, vere o verosimili non importa, le insinuazioni, le interviste che promettono rivelazioni sconcertanti, i veleni e i gossip e i pettegolezzi più sfrenati in un carosello che non finisce mai.

La condanna, pesantissima in primo grado, e poi la sequenza di assoluzioni arriveranno dopo, negli anni successivi, ma in quei tredici mesi, dall'ottobre 2010 al novembre 2011, Berlusconi consuma il suo prestigio internazionale: non può fermare la valanga che è peggio, molto peggio, di una pena pesantissima. Ed è stretto in una tenaglia, perché i giudici accelerano: il 15 febbraio 2011 il gip Cristina Di Censo rinvia a giudizio il Cavaliere con rito immediato e dunque, si presume, prova evidente. il Pd chiede «dimissioni ed elezioni anticipate». Bersani rincara la dose: «Esiste la decenza». E Di Pietro va anche oltre: «Se Berlusconi non se ne va, intervenga Napolitano». A tambur battente il 6 aprile si celebra la prima udienza.

Il Governo Berlusconi cade nel novembre 2011 sotto il peso di una crisi finanziaria violentissima e l'inarrestabile ascesa dello spread. Per il Cavaliere c'è una sorta di congiura internazionale per farlo fuori e lo storico sorrisetto della coppia Sarkozy Merkel è l'icona di quella stagione. Ma non si capirebbe quella sorta di fuori onda devastante senza gli atti che dalla procura di Milano hanno raggiunto i paesi più sperduti della terra. C'è tutto un filone di saggistica erotico politica che ha Berlusconi come protagonista assoluto. Ce n'è un altro, più antico e ancora più inquietante: quello del Cavaliere con le mani sporche di sangue, regista delle stragi e complice dei boss, ma questa narrazione non ha presa sull'opinione pubblica.

Qui invece il discredito porta alla demolizione del personaggio pubblico e non si può più nemmeno parlare di interferenza o di invasione di campo. Il processo che la procura di Milano perderà infine in tutte le sedi, dopo aver trionfato al primo round nel 2013, viene stravinto prima, fra ammiccamenti, risate e dosi massicce di indignazione.

Il premier che si accompagna a una minorenne marocchina non è degno di stare a Palazzo a Chigi. Lo martellano i grandi giornali, lo ripetono i parlamentari. Il finale è già scritto, anche se si giocherà altrove. Misurando fra Roma e Bruxelles l'andamento dei titoli.

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