Guerra di veline fra le tribù grilline

"Se si sceglie Casini, fuori dalla maggioranza". Ma a stretto giro arriva la smentita

Guerra di veline fra le tribù grilline

Nel primo pomeriggio Giuseppe Conte appare davanti ai cronisti e prova a silenziare le voci su un asse con Matteo Salvini. Mentre in serata va in scena un'altra puntata della guerra delle «veline», tra sospetti e accuse incrociate. Il caso, stavolta, è una dichiarazione fatta alle agenzie da «fonti qualificate» del M5s. «Se Pd, Iv e centrodestra vogliono votare Pier Ferdinando Casini lo facciano pure ma si preparino a sostenere da solo il governo, M5s va all'opposizione», è la nota stringata, ma di una chiarezza irrituale in questi giorni di bizantinismi. Gli avversari interni accusano subito Conte, descritto come ansioso di andare all'opposizione per riacquistare quell'«agibilità politica» di cui ha fatto menzione anche nel faccia a faccia con Luigi Di Maio alla Farnesina prima dell'inizio delle votazioni sul Quirinale. Dall'altro lato ci sono le accuse sotterranee al ministro degli Esteri, che vorrebbe Mario Draghi al Colle. Ma, in una giungla di battitori liberi come sono i gruppi del M5s, è possibile che la polpetta avvelenata sia partita da frange più o meno autonome di «cani sciolti». Difficile trovare un colpevole nella balcanizzazione totale del Movimento. Fatto sta che fonti vicine a Conte smentiscono a tempo di record. «È destituito di ogni fondamento qualsiasi riferimento o commento del M5s a nomi di possibili candidati al Quirinale, il Movimento sta dialogando per una soluzione condivisa», la precisazione di «fonti vicine alla presidenza del M5s».

Il nome di Casini impazza per tutta la giornata anche tra i grillini. «Io lo voterei, è un parlamentare, viene visto come uno di noi», dice a taccuini chiusi un deputato pentastellato. Per altri «è il candidato di Renzi». Intanto Di Maio lo incrocia in mattinata a Montecitorio. Ma è difficile assicurare la tenuta dei gruppi sull'ex democristiano. Come è complicato arrivare all'unità interna con qualunque candidato che non sia Sergio Mattarella. Infatti tra i 125 voti per Mattarella molti portano la firma dei Cinque stelle.

Ma la mattinata e la serata di martedì sono segnate dalla tensione altissima sui presunti abboccamenti tra Conte e Salvini sul nome di Casellati. Il leader corregge parzialmente la rotta nel pomeriggio e poi di nuovo in serata. Per l'ex premier «mettere in gioco una carica istituzionale senza una soluzione condivisa sarebbe un grande errore per il centrodestra e un grande sgarbo istituzionale». «La Casellati non è un candidato qualsiasi, è una carica istituzionale», dice Conte. Passa qualche ora e l'ex premier torna sull'argomento, mostrando un atteggiamento più morbido rispetto al veto di Letta. «Non poniamo veti su nessuno ma se un profilo istituzionale come la seconda carica dello Stato viene presentato come la candidatura su cui il centrodestra vuole fare l'esibizione muscolare è illogico», abbozza Conte. Comunque una mezza retromarcia era d'obbligo per sedare la tensione interna. Tanto che si rende necessario l'intervento di Beppe Grillo. Il Garante, indagato per l'affaire Moby, avrebbe voluto evitare un coinvolgimento diretto. Eppure in mattinata è costretto a chiamare Conte. «Giuseppe non vorrai mica rompere con il Pd?», l'avvertimento di Grillo che poi smentisce in diretta con una telefonata a Enrico Mentana la sua presunta insistenza con Conte su Draghi al Quirinale.

Dopo la chiamata fonti M5s parlano di «piena sintonia sulla linea della trattativa che Conte sta conducendo». Nella telefonata è stata rimarcata la necessità di «garantire piena stabilità all'attuale governo». Concetto, quest'ultimo, ribadito da Conte durante l'assemblea congiunta serale con deputati e senatori.

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