
Nel giorno in cui i grandi della Terra sono a San Pietro a salutare José Bergoglio e a tenere colloqui spesso improvvisati per discutere le tante drammatiche crisi che scuotono il pianeta, il Decano del collegio cardinalizio Giovanni Battista Re nella sua omelia sul sagrato di San Pietro li ha sferzati nel nome di Francesco, anzi di «Franciscus», come ha voluto farsi ricordare sulla sua lapide «Di fronte all'infuriare delle tante guerre di questi anni - ha detto Re - con orrori disumani e con innumerevoli morti e distruzioni, papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all'onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra diceva - è solo morte di persone, distruzioni di case, ospedali e scuole. La guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta».
Davanti a Re ci sono da una parte gli ultimi che Bergoglio ha sempre considerato il suo popolo e dall'altro i potenti che si sfidano sul campo della geopolitica trascinando i propri popoli alla morte e all'abiezione. E Francesco era certamente dalla parte dei primi, persone che magari hanno sbagliato ma pagano il loro prezzo, mentre presidenti, premier, regnanti con la loro sprezzante arroganza raramente pagano pegno dei loro spaventosi errori: «Costruire ponti e non muri è un'esortazione che egli ha più volte ripetuto e il servizio di fede come successore dell'Apostolo Pietro è stato sempre congiunto al servizio dell'uomo in tutte le sue dimensioni».
Re esordisce salutando «questa maestosa piazza di San Pietro, nella quale papa Francesco tante volte ha celebrato l'Eucarestia e presieduto grandi incontri nel corso di questi dodici anni», dove «siamo raccolti in preghiera attorno alle sue spoglie mortali col cuore triste, ma sorretti dalle certezze della fede, che ci assicura che l'esistenza umana non termina nella tomba, ma nella casa del Padre in una vita di felicità che non conoscerà tramonto». Il decano del collegio cardinalizio sottolinea come «il plebiscito di manifestazioni di affetto e di partecipazione, che abbiamo visto in questi giorni dopo il suo passaggio da questa terra all'eternità, ci dice quanto l'intenso Pontificato di papa Francesco abbia toccato le menti ed i cuori» e ricorda «la sua ultima immagine, che rimarrà nei nostri occhi e nel nostro cuore», quella di Pasqua, poche ore prima della sua morte, «quando nonostante i gravi problemi di salute, ha voluto impartirci la benedizione dal balcone della Basilica di San Pietro e poi è sceso in questa piazza per salutare dalla papamobile scoperta tutta la grande folla convenuta per la Messa di Pasqua».
Tutta l'omelia di Re è percorsa dalla trepidazione per l'umanità di Bergoglio.
E suona come un monito al successore di questi il ricordo del «compito costante di Pietro e dei suoi successori, un servizio di amore sulla scia del Maestro e Signore Cristo che non era venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per tutti (Marco 10,45)». C'è più gioia nel dare che nel ricevere, ricorda Re citando gli Atti degli apostoli. C'è più gioia nella pace che nella guerra, sembra voler intendere. I grandi della Terra, lì sotto, ascoltano.
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