"La guerriglia può vincere uno contro 10"

Analisi della storica militare: "Chi difende è più forte, conosce il proprio territorio"

"La guerriglia può vincere uno contro 10"

Basta un solo uomo che difende il suo Paese contro 10 soldati occupanti. Uno a dieci, «perché la forza di chi insorge è un valore aggiunto e perché chi difende conosce il proprio territorio». Non dà numeri a caso Federica Saini Fasanotti, storica militare ed esperta di controguerriglia. In Italia collabora con l'Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale ed è consulente in America per Brooking Institution. A giorni uscirà il suo ultimo libro, il settimo, edito dall'Ufficio di Stato Maggiore dell'Esercito. Si intitola La forma della guerra, come sottotitolo «Le origini del pensiero occidentale di controguerriglia», un tomo di quasi 400 pagine, 160mila parole e un milioni di caratteri che raccontano la storia della guerriglia dalla nostra parte del mondo dal '700 a oggi.

Sappiamo che la storia non insegna nulla. E quello che sta accadendo di certo ce lo dimostra. Ma la storia dimostra anche che i numeri in guerra non valgono sempre nello stesso modo.

«In una guerra regolare, con uno scontro diretto tra eserciti, il rapporto è di uno a uno. Ma già in un attacco a una città ci vogliono 5 uomini per ogni difensore, mentre in una fortificazione su campo aperto il rapporto è di 3 a 1. Nella controguerriglia è 10 a 1».

Che cosa si intende esattamente per controguerriglia?

«È quando un esercito regolare si scontra con la ribellione del popolo dopo che si è sfaldato l'esercito di difesa. Quello che potrà succedere in Ucraina, ma che abbiamo visto in Etiopia o in Libia nel passato. In questo momento lì si sta combattendo ancora una guerra che per molti tratti è regolare, carri armati contro carri armati, divise contro divise. Nella controguerriglia non c'è più l'esercito locale che protegge gli avamposti, i luoghi strategici, ma è la popolazione che un momento zappa e appena ti giri prende il kalashnikov e ti spara».

La Russia si muove come era già successo in passato?

«Segue la stessa modalità: fanno tabula rasa, distruggono tutto come in Siria e prima in Afghanistan tra il '79 e l'89. Sono come un'onda di tsunami. E non hanno imparato dalla storia che non si vince la resistenza facendo terra bruciata. Più distruggono più poi c'è poi anche un problema gigantesco nel prendere possesso effettivo le città».

In che senso?

«Se viene distrutto tutto con l'artiglieria pesante e con le bombe aeree poi chi ti combatte, che sia esercito o siano i ribelli, è sul proprio territorio, sa dove nascondersi, rendendo poi di fatto molto difficile entrare con i mezzi pesanti che proteggono quando è il momento di penetrare nelle città. Come è successo durante l'assedio di Stalingrado nella Seconda Guerra mondiale. I panzer tedeschi si sono arenati. È sempre più forte chi difende rispetto a chi attacca proprio perché conosce il territorio. Anche se ovviamente, in certi momenti, l'attacco, l'aggressività, la forza della sorpresa porta un vantaggio enorme. Ma i russi devono combattere anche contro il tempo perché ad aprile inizia il disgelo. Il fango sarà un ulteriore ostacolo per la mobilità dei carri armati».

Senz'altro i russi hanno sicuramente sbagliato i conti.

«Non so cosa stia succedendo tra i loro ranghi... certo è indicativo che ci siano già 4 generali russi morti, perchè significa che la linea di comando non funziona bene, ma sicuramente ci sono dei dati che ci fanno pensare che i numeri della Russia non sono abbastanza per conquistare ma soprattutto dopo per tenere un Paese tra l'altro dichiaratamente ostile. Sarebbero necessari almeno 500/600 mila uomini che restano a presidiare il territorio conquistato. Ma l'esercito russo di terra conta circa 900 mila unità operative».

È per questo che avrebbero arruolato i mercenari siriani?

«Non solo per questo. Un conto è il bombardamento aereo, dall'alto dove si fa la guerra senza guardarsi negli occhi. Altra cosa è quando iniziano le operazioni di terra. È evidente che diventa difficile per i soldati russi con i cugini ucraini.

I siriani risolvono più problemi. Primo sono spietati e non hanno esitazione in operazioni anche all'arma bianca contro i civili. Sono carne da cannone e così Putin non deve affrontare neanche i morti russi che tornano nelle bare di zinco».

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