Il reddito di cittadinanza non avrebbe mai potuto mai funzionare come strumento per favorire l'occupazione per via della mancanza, a monte, di investimenti sulle politiche attive per il lavoro. Parola di Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro all'Università Bocconi di Milano, presidente dell'Anpal dal 2016 al 2019 e consigliere giuridico del governo Renzi.
Professor Del Conte, quali sono i difetti strutturali del reddito di cittadinanza?
«Il problema non sono le truffe ma cosa si è pensato di realizzare con questo strumento. Quando è stato proposto è stato indicato come uno strumento di politiche attive che avrebbe consentito di riattivare al lavoro chi era in stato di povertà. Una lettura assolutamente astratta e superficiale come segnalato dall'Alleanza contro la povertà che evidenziò la necessità di prendersi cura di quei fenomeni che generano la trappola della povertà come i disagi educativi, abitativi, familiari e le dipendenze. Abbiamo scambiato questo problema con quello della disoccupazione e si è creduto di poter rilanciare la rete delle politiche attive con il reddito di cittadinanza invertendo l'ordine logico degli elementi».
In cosa consiste effettivamente questa inversione?
«Posso aiutare i beneficiari del reddito a trovare lavoro se prima ho costruito un sistema molto efficiente di politiche attive. Ma meno di un terzo dei percettori era effettivamente accompagnabile in un percorso di rafforzamento delle competenze per affrontare l'incontro con le imprese. L'operazione navigator è stata di facciata, si voleva immaginare che avrebbero risolto il problema quando sappiamo benissimo che la componente dei disoccupati in stato di povertà non è immediatamente occupabile, ma ha bisogno di un percorso di qualificazione professionale perché disoccupati di lunga durata o perché mai entrati nel mondo del lavoro».
In Francia e Germania questi sussidi hanno funzionato perché al reddito si aggiunge un percorso di formazione. In Italia anche Garanzia Giovani è stata un insuccesso.
«Occorreva collegare Anpal, Inps e Centri per l'impiego ridisegnando il sistema delle competenze con investimenti - che al tempo erano possibili - per assumere profili qualificati. Si è preferita la retorica, ossia raccontarsi che sarebbe stato sufficiente incrociare domanda e offerta con un'App (il sistema ideato dall'ex presidente Anpal Mimmo Parisi, ndr) per creare posti di lavoro. Alla fine non c'è stata nemmeno l'App».
Da un punto di vista keynesiano come si dovrebbe strutturare questo strumento?
«Bisogna creare prima le infrastrutture che garantiscono la capacità di prendersi in carico dei disoccupati e portarli a essere spendibili sul mercato del lavoro. Il reddito di cittadinanza deve venire dopo e appoggiarsi su un sistema solido così come avviene in Germania. Così quando il cittadino si rivolge a questi servizi, si mette in gioco con un soggetto la cui efficacia è stata testata, noi questa parte non l'abbiamo ancora realizzata, caricando di una nuova e massiccia utenza i servizi già fragili dei 550 Centri per l'impiego».
I 4,4 miliardi del Pnrr per la Gol avranno qualche effetto?
«Le risorse sono condizione necessaria ma non sufficiente.
Se si guarda alla Gol, ha il difetto di non indicare obiettivi reali e misurabili ma solo di consentire alle strutture sul territorio di accogliere più disoccupati e infatti l'obiettivo è prendere in carico 1,5 milioni di disoccupati ma il problema non è parcheggiarli nei Centri per l'impiego ma portarli a essere veramente occupati».
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