Altro che indipendenza energetica dalla Russia! L'Italia, sostanzialmente, non può permettersi di rinunciare al gas di Vladimir Putin perché masochisticamente ha bloccato la maggior parte delle attività di estrazione e di ricerca degli idrocarburi nel nostro Paese. Colpa del Pitesai, complicato acronimo di «Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee». E quando il burocratese allude ad «aree idonee» (come nel caso del Deposito nazionale delle scorie nucleari) significa restringere al minimo qualsiasi possibilità.
Al ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, va dato il merito di aver tirato fuori dai cassetti questa mappa della quale i governi Conte I e Conte II avevano promesso la pubblicazione. Il problema è che ideologicamente il Pitesai sembra proprio figlio dell'esecutivo giallorosso e non del governo Draghi. Lo ha spiegato bene ieri con un'analisi d'impatto Assorisorse, l'associazione confindustriale delle imprese estrattive presieduta dal manager Eni, Luigi Ciarrocchi. Dal punto di vista delle esplorazioni di idrocarburi, il Pitesai revoca di 42 titoli su 45 (tra istanze e permessi di ricerca), comportando «di fatto» l'azzeramento delle attività future, sia a terra che a mare. Resteranno solo 3 permessi di ricerca tra i quali uno dell'Eni e uno della piccola compagnia emiliana Gas Plus. Delle 123 concessioni minerarie attualmente in essere (di cui 108 relative al gas) oltre il 70% ricade in aree definite come «non idonee». In questo modo, prosegue Assorisorse, «si limitano fortemente le prospettive di produzione per effetto delle incertezze sulla possibilità di effettuare nuovi investimenti».
È pressoché certo, infatti, che 20 concessioni saranno revocate e 45 saranno soggette a verifica per stabilire l'eventuale prosieguo o meno delle attività. Su 171 titoli di concessione solo 38 sono in aree idonee, mentre 133 sono in zone «non idonee». Una Caporetto su tutta la linea. Se si osserva il solo potenziale estrattivo del nostro Paese, rileva l'associazione che aderisce a Confindustria, esso ammonta a 112 miliardi di metri cubi (con un ulteriore potenziale di 50 miliardi) dei quali 46 miliardi certi, 46 miliardi probabili e 20 miliardi possibili. Qual è l'assurdo? Che queste cifre sono superiori ai consumi del Paese che nel 2021 si sono attestati a 76 miliardi di metri cubi. Dunque si potrebbe soddisfare con risorse nazionali ben più del 10% cui ambiva il governo Draghi lo scorso febbraio.
«Con un piano di azioni mirate, si può rilanciare la produzione nazionale di gas, andando ben oltre i 5 miliardi prefissati dal decreto Energia e compensando il veloce declino, che oggi è pari ad oltre 0,5 miliardi di metri cubi l'anno», spiega Assorisorse al Giornale aggiungendo che «la valorizzazione del gas domestico comporterebbe il contenimento della bolletta energetica, una riduzione delle emissioni clima-alteranti legate al trasporto (oltre sei volte più alte in quanto nei gasdotti parte del gas è disperso per garantire la costanza della pressione; ndr), occupazione e crescita». Secondo uno studio presentato al dibattito sul Pitesai da Assorisorse, i soli giacimenti di gas dell'Emilia-Romagna potrebbero garantire fino a 1,6 miliardi di metri cubi dagli attuali 800 milioni con un investimento di circa 300 milioni.
Insomma, sarà difficile tornare ai livelli del 2000 (17 miliardi di metri cubi di gas estratti in Italia), ma si può fare uno sforzo per risalire dai 3 miliardi dell'anno scorso, un eredità costosa lasciataci dai talebani del «no triv». Risultati lontani dai 17 miliardi del 2000, ma darebbero un contributo alla manodopera nazionale, alle imprese, alle casse dello Stato e alla lotta contro emissioni che scaldano il clima, invece di prendere la rotta estera per pagare importazioni lungo migliaia di chilometri di tubature ad alto impatto climatico.
«Riteniamo ancora possibile un intervento legislativo, in primis sul Pitesai, con l'obiettivo di salvaguardare e promuovere le attività di estrazione del gas italiano in coerenza con quanto espresso nella mozione votata nei giorni scorsi dal consiglio regionale dell'Emilia-Romagna (approvata da tutti partiti tranne M5s e Verdi; ndr)», sottolinea Assorisorse ricordando che nel Basso Adriatico (Puglia in primis) «sono identificate molte nuove aree non idonee per l'attività estrattiva che mettono a rischio l'estrazione di diversi miliardi di metri cubi di gas».
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