È ora di «voltare pagina, basta col caos e le divisioni». Kamala Harris pronuncia il suo appello finale agli elettori da un luogo simbolo, l'Ellipse di Washington, il parco dietro la Casa Bianca affacciato sul National Mall da dove Donald Trump tenne il suo discorso il 6 gennaio 2021, poco prima dell'assalto dei suoi fan a Capitol Hill. La candidata democratica davanti ad almeno 20mila persone sottolinea che il tycoon è «totalmente assorbito dal suo infinito desiderio di vendetta» e non è interessato «ai bisogni del popolo americano».
L'ex presidente, invece, in mattinata ha tenuto una conferenza stampa nel suo resort di Mar-a-Lago, in Florida, sparando a zero contro la rivale, e accusandola di fare una «campagna di odio». «I corrotti Joe Biden e Kamala Harris hanno distrutto tutto», dice, citando l'aumento dell'inflazione, il problema dell'immigrazione alla frontiera, il fatto (a suo parere) che gli Usa hanno perso il loro ruolo di leadership nel mondo. «Io corro con un piano per salvare il nostro Paese, non abbiamo scelta», promette agli elettori, mentre solo qualche ora prima, ha replicato alle accuse che gli sono state mosse da alcuni ex membri della sua amministrazione (e dalla vicepresidente) dicendo: «Non sono un nazista, solo il contrario di un nazista», mentre Kamala è una «fascista». Nel suo monologo durato quasi un'ora, Trump non ha affrontato le polemiche per gli attacchi razzisti e di alcuni ospiti che lo hanno preceduto nel comizio di domenica a New York, e in particolare le affermazioni di un un comico contro Porto Rico definita «isola di spazzatura». «C'era amore, era una festa dell'amore al Madison Square Garden», ripete, lamentandosi pure dell'accostamento al raduno nazista del 1939 nell'arena casa dei New York Knicks. In difesa dell'ex comandante in campo è scesa pure la moglie Melania, che in un'intervista su Fox News definisce «orribili» i paragoni tra il marito Donald e Adolf Hitler. «Non è Hitler e tutti i suoi fan lo sostengono perché vogliono vedere il successo del loro Paese - assicura l'ex first lady - Le persone vedono cosa sta succedendo negli Usa e sanno che tipo di leader vogliono. Vogliono la prosperità, vogliono il ritorno del sogno americano».
Ieri, intanto, in un editoriale sul suo giornale, Jeff Bezos ha difeso la controversa scelta di non dare l'endorsement del Washington Post a nessun candidato «per non creare una percezione di pregiudizio, di non indipendenza», e definendola una «scelta di principio», come fece l'editore Eugene Meyer dal 1933 al 1946. Un modo, spiega, per far recuperare credibilità alla testata in un momento in cui giornalisti e media sono al minimo nel grado di fiducia e reputazione.
La mossa di non sostenere nessun candidato alla Casa Bianca ha rotto quella che è una tradizione dei grandi media americani, che hanno sempre avuto il ruolo di schierarsi nelle presidenziali anche come forma di esercizio democratico. La sua scelta non solo ha scatenato una bufera e provocato diverse dimissioni, ma ha già fatto perdere 200mila abbonati al Wp.
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