Quel fuoco che da lunedì ha reso neri e spellati il Golan e la Galilea al confine col Libano, ha trasformato in una collezione di miseri stecchi in fila la foresta che Israele con tanta fatica cresce dalla sua nascita, ha distrutto case, messo in fuga gli ultimi coraggiosi agricoltori da Kiriat Shmone alla zona del Kibbutz Manara dove vive la 98enne sorella di Rabin, non merita una guerra? Nessun Paese del mondo avrebbe sopportato per otto mesi che giorno dopo giorno gli Hezbollah, che hanno dichiarato sin dal 7 ottobre di condividere la guerra di Hamas, mettessero in fuga la popolazione, uccidessero, incendiassero, minacciassero. Israele non è stato a guardare, ha schierato i Golani anche sul Nord e ha sparato sulle spavalde postazioni di confine e sui lanciamissili degli Hezbollah.
Ieri Netanyahu ha dichiarato che Israele è pronta a combattere una vera guerra. È in gioco la struttura stessa del Paese, che ieri ha cercato con la grande manifestazione in onore dell'unificazione di Gerusalemme nel '67, e gli ostacoli non sono solo legati alla difficoltà di reggere un conflitto su due fronti. Ma l'esercizio quotidiano di distruzione di Israele da Nord. A febbraio Nasrallah spiegò che il danno che avrebbe potuto portare a Israele se si fosse avventurato troppo, sarebbe arrivato fino a Eilat, alla centrale nucleare di Dimona. Non solo: i suoi missili coprirebbero Israele, i suoi giannizzeri sarebbero peggio di Hamas quanto a crudeltà e fanatismo. Con la visita ai soldati al confine del Libano, Bibi ha voluto segnalare che la pazienza sta finendo. Israele vuol dire alla sua gente che prima o poi potrà tornare a casa. Invece per ora quel fuoco è stato un simbolo inequivoco che la guerra barbarica è in pieno svolgimento, che non c'è accordo in vista come vorrebbe Biden, da sempre opposto alla guerra che gli scalda il fronte mondiale prima delle elezioni.
Un racconto molto famoso di AB Yeoshua racconta di un ragazzo israeliano che da guardaboschi vede ogni giorno un arabo con una bambina per mano nella foresta: diventa per lui un personaggio enigmatico ma non ostile, fantasticato come un possibile amico misterioso, finché il bosco andrà in fiamme perché l'uomo con la bambina ha deciso di distruggerlo. Israele oggi deve capire a che stadio siamo prima che l'incendio venga appiccato. Un rischio mondiale. Per ora i sotterranei tentativi di mediazione, per far tornare alle loro case gli sfollati israeliani che insieme a quelli del confine di Gaza sono ormai quasi 250mila, che richiederebbero uno spostamento di Hezbollah dal confine non hanno trovato risposta. Amos Hochstein, l'inviato per il Libano di Biden, ed Emanuel Macron, si danno da fare. Ma più dei divieti («Don't» disse Biden, e Narsrallah sorrise) valgono le molte visite dei ministri iraniani nel bunker di Nasrallah. E il primo ostacolo è in mani molto temibili: come hanno detto tutti gli ufficiali del governo americano Sinwar ha la decisione sugli ostaggi. Finché non decide, continua la guerra; finché continua, Hezbollah segue l'impegno di spalleggiarlo. Se esagera, Israele dovrà per forza attaccare nel profondo: quanto si può sostenere l'espulsione della propria gente, la distruzione e la desertificazione, il bombardamento con morti e feriti? Forse l'unico modo per frenare l'escalation generale è spaventare Sinwar fino al punto che debba necessariamente accettare lo scambio. Allora, anche Nasrallah dovrebbe (probabilmente a malincuore) staccare il piede dall'acceleratore. Ma è un sogno.
Siamo comunque nelle mani dei terroristi, a meno che Israele non trovi finalmente il sostegno internazionale fondamentale per combattere l'idra che minaccia tutti, con le sue varie teste: ma non sembra probabile. Anche questo è un sogno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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