«L'orrore... l'orrore ha un volto... e bisogna essere amici dell'orrore. L'orrore e il terrore morale ci sono amici. In caso contrario diventano nemici da temere». Marlon Brando, protagonista nelle vesti del colonnello Kurtz del monologo finale di Apocalypse Now, spiega così la terribile e nefasta comunanza che ogni conflitto crea tra i combattenti e l'orrore. Le stragi di My Lai in Vietnam, di Sabra e Chatila in Libano, ma anche quelle attribuite alle forze speciali statunitensi in Siria e Irak da un'inchiesta del New York Times dello scorso dicembre, avrebbero dovuto farci comprendere da tempo la brutalità nascosta in ogni conflitto. Una brutalità che non sta mai da una parte sola. Perché la guerra, a differenza di quanto raccontano i film, non prevede buoni sentimenti. E a dimostrarcelo, a pochi giorni dalla scoperta dei morti di Bucha, arriva un altro film dell'orrore.
Un film andato in scena a Dmytrivka, un villaggio distante solo dodici chilometri in direzione Sud dalla stessa Bucha. Con una differenza. Qui le vittime sono i russi mentre gli spietati aguzzini sono i soldati ucraini. Il video è così crudele e sanguinario da rendere difficile la pubblicazione di foto o spezzoni capaci di restituirne la disumana ferocia. Al lato di una strada si vede un Bmd-2 , un blindato usato dalle truppe aviotrasportate russe. Il mezzo, intatto, ci fa capire che l'equipaggio si è arreso senza combattere. Anche perché, duecento metri più avanti, vi sono le carcasse di altri mezzi appena colpiti e distrutti. Sull'asfalto, invece, ci sono quattro corpi. Vestono le divise dell'esercito russo e non hanno accanto alcuna arma. Giacciono tra lunghe scie di sangue. Uno ha le mani legate dietro la schiena e la gola tagliata. Quello che gli sta accanto è disteso a braccia aperte freddato da una raffica al ventre. Altri due corpi sono sul lato opposto della strada. Uno è stato ucciso con un colpo alla nuca. L'altro, con il volto nascosto da una giacca militare tirata su fino a coprirgli il volto, è scosso dai tremiti dell'agonia. Sussulta, muove un braccio, mormora versi incomprensibili. Tutt'intorno si sentono delle voci in ucraino.
«Filma questi bastardi. Guarda questo... è ancora vivo... sta rantolando» ulula una voce senza volto. Poi s'intravvede la canna di una pistola. Apre il fuoco due volte. Il soldato in agonia sussulta, si muove ancora. Un terzo colpo lo finisce. Ora tutt'intorno compaiono soldati ucraini riconoscibili da uniformi e distintivi. Quello che ha sparato mostra il suo volto. Ha il volto incorniciato da una fitta barba. Grida: «Gloria all'Ucraina». Un altro si fa fotografare accanto ai corpi. «Questi - sbraita una voce fuori campo - non sono neanche esseri umani». A confermare il tutto ci pensa un tweet del ministero della difesa ucraino che definisce un «lavoro preciso» l'imboscata ai danni di un convoglio russo in ritirata da Kiev messa a segno il 30 marzo scorso. Segnalazione confermata dal video-reporter Oz Katerji che il 2 aprile gira le immagini dei blindati distrutti e, citando i soldati ucraini, parla di una battaglia svoltasi 48 ore prima.
Ma quella battaglia e la brutale eliminazione di quei quattro prigionieri dovrebbero insegnarci un paio di cose.
La prima è che in guerra non basta stare dalla parte giusta per comportarsi da «buoni». La seconda è che la guerra è sempre abietta, crudele e feroce. E l'unico modo per sconfiggerne mostri e perversioni è uscirne in fretta.
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