C'è solo una cosa più dolorosa che prestare soccorso a una donna che urla contro il mare il nome del figlio appena morto. Ed è allineare sulla spiaggia il corpicino di quel bimbo, assieme agli altri cadaveri, «catalogarlo» con un cartellino che nemmeno porta il suo nome o la sua età esatta ma solo una sigla per identificarlo. Corpo numero 5, numero 6. Così fino a 20 bambini, tra cui anche un neonato e due gemellini. E chissà quanti altri morti.
I soccorritori della Croce Rossa ieri mattina hanno vissuto la peggiore delle albe di Steccato di Cutro, nel crotonese. Sono arrivati in riva al mare e hanno trovato una distesa di corpi sulla battigia. Uno strazio. «Per prassi abbiamo dovuto verificare se ci fosse ancora il battito per ognuno dei bambini accasciati sulla sabbia - racconta Ignazio Mangione, direttore del Cara di Isola Capo Rizzuto gestito dalla Croce Rossa - ma era chiaro che erano tutti morti. Abbiamo il cuore a pezzi. Noi operatori in questi casi dobbiamo mantenere la lucidità ma una scena del genere segnerebbe chiunque e non credo che potrò mai levarmi quelle immagini dagli occhi. Già la scorsa estate mi è capitato di dover recuperare due salme a riva. Ma stavolta siamo oltre».
«Abbiamo cercato di rianimare un bimbo di 7 anni. Suo padre e lo zio pensavano di poterlo salvare - testimonia un medico - ma aveva i polmoni pieni d'acqua». Le donne sono state medicate e avvolte in coperte calde, ma i soccorritori si sono resi immediatamente conto che per loro sarebbe stato necessario un supporto psicologico. Sanguinanti e disperate all'idea di aver perso il figlio e di non aver potuto fare nulla per proteggerlo tra le onde, il gasolio, le travi di legno e le urla. Tutto in un attimo.
«Sono sopravvissuti soprattutto gli uomini, i più forti. Uno è in rianimazione all'ospedale di Crotone, gli altri sono nella nostra struttura a Capo Rizzuto. Sono sotto osservazione perchè molti, oltre all'acqua, hanno ingerito il gasolio dell'imbarcazione» spiega Mangione che testimonia: «È stato scioccante vedere come dell'imbarcazione non sia rimasto nulla, solo brandelli, tutti accumulati a riva».
Fra quei brandelli sono stati recuperati i corpi, persone che erano vicinissime alla costa, a un passo - al massimo 100 metri - dal termine di quel viaggio infinito. «Dalle prime ricostruzioni i migranti erano in viaggio da 4 o 5 giorni - spiegano gli operatori della Croce Rossa - e a bordo erano tra i 150 e i 200, tra cui molte donne e bambini». Dopo i primi soccorsi sono cominciate le operazioni di identificazione dei cadaveri al palasport di Crotone e di ricostruzione dei nuclei familiari, nella speranza di riunire qualche famiglia o quel che ne rimane. Cercando una vaga buona notizia nella giornata del peggior dolore.
I sopravvissuti hanno ricevuto tutte le cure possibili, hanno abiti puliti e sono al caldo. Ma se ne stanno lì, con la tazza di tè in mano e gli occhi pieni di lacrime. Qualche madre ogni tanto crolla e rompe il silenzio della sala con il suo pianto di disperazione, irrompente e più forte della spossatezza fisica. Nessuno spera, nemmeno i genitori che non hanno trovato il corpicino del figlio sotto le body bag bianche. Sanno che non può essere sopravvissuto nella violenza di quelle onde, aspettano solo che venga recuperato, se mai lo sarà. I soccorsi in acqua sono ostacolati dalle condizioni del tempo e dal mare, ancora agitato. Si cercano corpi, senza sperare in nessun miracolo.
E sarà il mare a restituire altri cadaveri, magari a chilometri di distanza. O su quella stessa spiaggia su cui sono stati allineati troppi teli bianche e su cui sono rimaste le coperte termiche dei sopravvissuti. Portate via dal vento e incastrate tra le sterpaglie.
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