"I giovani sono soli e la famiglia è implosa. I genitori si sveglino". Intervista a Paolo Crepet

Lo psichiatra: "In Riccardo i segnali di disagio c'erano, nessuno li ha visti"

"I giovani sono soli e la famiglia è implosa. I genitori si sveglino". Intervista a Paolo Crepet
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Non c'è il movente? Sì, ma i segnali di malessere in Riccardo c'erano. «Semplicemente non sono stati visti».

Quindi, nella narrazione della famiglia da Mulino Bianco e del bravo ragazzo che giocava a pallavolo e frequentava il liceo, bisogna saper leggere nelle fessure invisibili. Ben oltre la perfezione della vacanza in barca e della villetta borghese.

Chiediamo una guida a Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, che nel suo ultimo libro, intitolato «Mordere il cielo», invita a riappropriarci con audacia delle nostre emozioni, a esprimerle, a viverle. Per non soffocare.

Cosa c'è dietro la storia di Paderno? Vuoto emotivo? Fragilità che si è tradotta in violenza?

«Fragilità, fragilità, non ne posso più di sentire questa parola. Basta pietismo, basta togliere le castagne dal fuoco ai nostri figli».

E allora in cosa va ricercata la crepa?

«Nella famiglia di oggi. Implosa da anni. I genitori controllano in tempo reale il registro elettronico dei figli, sanno che voto hanno preso in italiano già alle 10,30 del mattino ma non sanno dove sono alle 3 di notte. Quante volte i padri chiedono 'come stai?' al figlio durante la cena? E, se lo fanno, quante volte ascoltano la risposta?».

Riccardo dice: 'Mi sentivo solo, estraneo in casa mia'.

«Sì, in generale i ragazzi sono soli, sempre di più. Lo hanno voluto i genitori. Tutto è costruito perché i ragazzi siano isolati: telefonini, visori in 3D, social. Perfino le università, on line. Usano il cellulare anche in discoteca. La solitudine è decuplicata. Non diciamo che dietro a storie come quella di Paderno ci sono i disagi maturati in pandemia. La strage di Erika e Omar era ben prima della pandemia».

D'accordo. Ma come possiamo cambiare rotta?

«La domanda vera è: vogliamo cambiare rotta? Dovremmo cominciare in casa e proseguire cambiando la scuola ma, mi sembra chiaro, non siamo disposti a farlo».

Come dovrebbe cambiare la scuola?

«Facciamo un esempio. I ragazzi fanno sesso a 13 anni. Forse è ora di mandarli a scuola un anno prima, a 5 anni. E poi dobbiamo incoraggiare il tempo pieno, come negli altri Paesi. Ci siamo sgolati per introdurre l'ora di educazione sentimentale nell'orario scolastico ma è rimasto uno slogan e basta. È ovvio che non basti un'ora. Così come lo psicologo scolastico. Rischia di essere persino dannoso se non è preparato».

Però lo psicologo a scuola può aiutare a intercettare un disagio latente.

«Quello è il compito della famiglia. Che deve tornare a essere tale. Prima dei governi e delle istituzioni, dobbiamo cambiare noi, in casa».

Siamo genitori troppo molli?

«I genitori pensano di educare proteggendo, facendo le cose al posto dei figli. E stanno crescendo giovani che nemmeno sanno apparecchiare la tavola, tanto ogni sera trovano tutto pronto, non hanno bisogno di imparare. La famiglia di una volta invece era quella con dieci persone, tutti aiutavano tutti, nessuno veniva servito. Ora invece si concede tutto per uno strano senso di colpa che sovrasta i genitori».

Quindi i ragazzi hanno meno occasioni per crearsi gli anticorpi, per mettersi alla prova?

«Lo abbiamo voluto noi. E sinceramente non vedo un grande futuro. Non sono spronati a studiare. Nessuno si preoccupa dell'aumento delle iscrizioni alle università on line, è un business così florido che ovviamente non si arresterà. Vogliono fare tutti gli influencer. Ma chi li costruirà i ponti in futuro? Chi li farà i trapianti di fegato? Questa generazione non ha più voglia di studiare».

Perchè ha tutto.

«Ha anche più di tutto. Questa è una società basata sull'eredità: anche se non lavori e non impari una professione pazienza, tanto puoi mettere in affitto il bilocale ereditato dal nonno in piazza Cordusio».

Seguendo il suo ragionamento, i casi simili a Paderno potenzialmente potrebbero essere molti di più.

«Ci sono tante altre storie meno tragiche ed eclatanti che non vengono raccontate ma che denunciano lo stesso disagio».

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