Roma - Il caso Diciotti ora è finalmente chiuso: l'ultimo atto lo scrive il tribunale per i ministri di Catania, lo stesso che aveva chiesto il rinvio a giudizio per Matteo Salvini con la pesante accusa di sequestro di persona. I giudici hanno disposto l'archiviazione per gli altri tre indagati: il premier Giuseppe Conte, il ministro Danilo Toninelli, competente per l'autorità sui porti, e il ministro Luigi Di Maio. Sono i tre esponenti del governo che si sono «auto denunciati». Un atto tutto politico, volto a legittimare l'azione di Salvini come azione unitaria del governo nell'interesse della nazione e a coinvolgere anche gli esponenti grillini del governo, in modo da giustificare il «salvataggio» del ministro dell'Interno con un no all'autorizzazione a procedere.
Perché allora il tribunale dei ministri ha voluto archiviare la posizione di Conte, Toninelli e Di Maio? Una possibile ipotesi è che il tribunale abbia voluto «certificare» di non credere alla teoria della «responsabilità corale» del governo, smentendo con una mossa di fatto Conte, Toninelli e Salvini. Tra gli osservatori politici c'è chi dice che è solo il segno di una resa dei magistrati al Parlamento.
Ieri però la Corte costituzionale, in occasione della presentazione del proprio rapporto annuale (in cui ha invitato il Parlamento a non intaccare gli equilibri della Carta e ad accogliere i moniti della Consulta, a partire dal caso di Dj Fabo), ha aggiunto un tassello in più sul caso Diciotti. Ai giudici, ha spiegato il presidente della Corte Giorgio Lattanzi, resta da fare una valutazione, anche dopo lo stop del Parlamento, che riaprirebbe il caso. «La strada teorica -ha spiegato- è quella del conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato: se l'autorità giudiziaria ritiene che quella non autorizzazione non sia giustificata può sollevare il conflitto di attribuzione di poteri contro il Parlamento, poi si tratterà di stabilire se è ammissibile o meno». Ipotesi estrema che però riaprirebbe il caso.
Ieri intanto il comandante della Mar Jonio, la nave Ong protagonista dell'ultimo sbarco, interrogato per dieci ore
dai pm, ha detto di non essersi fermato all'alt delle autorità per il rischio naufragio. Si è poi commosso parlando cugino morto in mare. I medici della Ong hanno invece riferito di «segni di tortura» sui minori a bordo.
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