Assolto. Filippo Penati, l'uomo che per un decennio ha guidato a Milano il partito dei Democratici di sinistra, prima di assurgere ai vertici del Pd come capo dello staff di Pierluigi Bersani, esce incolume dal processo che lo accusava di avere costruito la sua carriera politica e le campagne elettorali del suo partito con i soldi della corruzione e dei finanziamenti illeciti, rastrellati come presidente della Provincia e come segretario della federazione milanese del partito. Oggi il tribunale di Monza, affossando le richieste della Procura della Repubblica, che aveva chiesto per Penati quattro anni di carcere, assolve Penati e tutti gli altri imputati: tra cui Piero Di Caterina, per anni finanziatore dell'ex Pci e poi "pentito" e grande accusatore dell'ex amico, e Renato Sarno, l'architetto di fiducia di Penati, indicato dalla procura monzese come collettore delle tangenti penatiane. "Giustizia é fatta" é il commento dell'ex leader.
Certo, ora la Procura farà ricorso in appello. Ma quella di un ribaltamento della sentenza di oggi è una prospettiva assai impalpabile, perché sulle accuse che hanno portato alla assoluzione odierna dell'ex braccio destro di Bersani si allunga l'ombra della prescrizione, che ha già inghiottito le altre vicende su cui la Procura di Monza ha indagato negli scorsi anni, e che riguardavano soprattutto il periodo trascorso da Penati come sindaco di Sesto San Giovanni. Gli affari colossali, con innalzamenti a ripetizione delle volumetrie autorizzate, che hanno accompagnato la trasformazione dell'area industriale delle acciaierie Falck, sono usciti dalla scena processuale già l'anno scorso, quando nel corso di una udienza dai contorni grotteschi il difensore di Penati non riuscì a contattare il suo assistito, per cui Penati (nonostante le promesse della vigilia) non rinunciò alla prescrizione. E la prescrizione, grazie alle lungaggini del processo terminato oggi, arriverà anche per le accuse che per ora vedono il tribunale presieduto dal giudice Giuseppe Airò assolvere (e sarà interessante leggere le motivazioni) l'uomo forte della quercia milanese: la corruzione da 3,5 milioni di euro per gli appalti della provincia di Milano a favore di Di Caterina; un'altra corruzione da 2,5 milioni di euro legata agli appalti per la terza corsia della tangenziale di Milano; la lunga serie di finanziamenti illeciti, per un totale di oltre 360mila euro, rastrellati dalla fondazione "Fare Metropoli", che per i pm altro non era che la macchina da elargizioni di Penati.
Tutte attività nelle quali - lo ha spiegato nella sua requisitoria il pm Franca Macchia - non c'è traccia di arricchimenti personali di Penati. Dopo di lui, a Sesto arrivò l'epoca della corruzione spicciola, nelle mani di assessori e capoufficio. La grandeur penatiana invece secondo la Procura rastrellava metodicamente (i pm parlano di "esazione dal territorio") in nome e per conto del partito. E non a caso i Ds si sono ben guardati dal chiedere conto a Penati dei danni morali e di immagine causati al partito.
All'apertura della udienza di oggi, al momento di fare l'appello delle parti civili, quando il giudice Airò (forse distrattamente, forse perfidamente) ha chiamato i Democratici di sinistra, in aula è echeggiato solo il silenzio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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