«Io ogni tanto ci penso eh chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi. Io sono stato consapevolmente un delinquente». Sono parole che mettono i brividi quelle che emergono dalle intercettazioni, riportate dal Corriere della Sera, nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Brescia che ha indagato 15 persone e sequestrato i capannoni dell'azienda bresciana Wte, con l'accusa di traffico illecito di rifiuti.
Timide remore, ma anche risate e consapevole impudenza di fronte allo smaltimento di circa 150mila tonnellate di fanghi contaminati da metalli pesanti, idrocarburi ed altre sostanze inquinanti nei campi del nord Italia. Agli agricoltori ignari che spargevano i fanghi tossici sui campi gli addetti della Wte (già finita al centro di esposti e denunce dal 2011 per molestie olfattive prodotte dai fanghi) raccontavano si trattasse di scarti della produzione agroalimentare. «Sono un mentitore! Io finisco all'inferno», dice ridendo Antonio Maria Carucci (in passato condannato per traffico illecito di rifiuti) al telefono con Ottavia Ferri, dipendente della Wte, che replica, sempre ridendo: «Lo facciamo per il bene dell'azienda!». E il bene dell'azienda si tradurrebbe in un profitto illecito di oltre 12 milioni di euro, con fanghi venduti come fertilizzanti e finiti nei terreni agricoli di Brescia, Mantova, Cremona, Milano, Pavia, Lodi, Como, Varese, Verona, Novara, Vercelli e Piacenza dal gennaio 2018 al 6 agosto 2019. Ma il traffico di rifiuti non è l'unico illecito emerso dalle indagini condotte dai Carabinieri Forestali.
C'è anche il reato di molestie olfattive, denunciato dalle diverse segnalazioni presentate dai cittadini, da anni costretti a vivere barricati in casa con porte e finestre chiuse, a causa dei miasmi prodotti durante il trasporto e lo spandimento dei fanghi. Negli anni anche la Provincia di Brescia aveva contestato l'irregolarità di quelle lavorazioni, imponendo migliorie agli impianti, mentre Arpa dimostrò il carico inquinante di quei fanghi, con il superamento dei limiti soglia per zinco, stagno, idrocarburi, toluene, fenolo, cianuri, cloruri, nichel-rame, solfati, arsenico, selenio. Ma è solo con l'inchiesta scattata nel gennaio del 2018 che i Carabinieri Forestali contestano le condotte illecite e spregiudicate di quello che viene definito il «re bresciano dei fanghi»: l'ingegnere Giuseppe Giustacchini, titolare della Wte. Non lavorando quei fanghi a norma di legge, Giustacchini risparmiava tantissimo, potendo recuperare la materia prima da società pubbliche e private a prezzi imbattibili. Nelle intercettazioni è lui ad impartire ordini su come camuffare quei fanghi e a cercare ad ogni costo terreni in cui spargerli («non mi faccio inc dalla Forestale perché voi non mi avete trovato i terreni, perché la prossima volta mi chiudono eh!»). Ma il sistema sarebbe stato stratificato e ben rodato: Giustacchini poteva contare anche sul supporto di Luigi Mille, direttore dell'Agenzia Interregionale per il fiume Po.
Nell'agosto del 2018 Mille viene intercettato negli uffici del settore Ambiente della Provincia di Brescia, dove sollecita la funzionaria Massi sull'autorizzazione per il nuovo impianto Wte a Calcinato. Ma si sente rispondere che l'istanza era inammissibile.
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