I miliziani uccisi e l'obiettivo Nasrallah. Il dilemma del gruppo: colpire o fermarsi

Aqil e Wahabi tra i più alti dirigenti. Hezbollah non vuole piegarsi, ma rischia altre perdite. E il leader è nel mirino

I miliziani uccisi e l'obiettivo Nasrallah. Il dilemma del gruppo: colpire o fermarsi
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Ibrahim Aqil e Ahmed Wahabi, due fra i più alti dirigenti e comandanti militari di Hezbollah, uccisi in un colpo solo assieme a 14 fra quadri intermedi e semplici militanti dell'organizzazione. Il bilancio definitivo del raid missilistico condotto venerdì pomeriggio da due F 35 israeliani sul quartiere di Dahiya, alla periferia meridionale di Beirut, lascia sbigottiti. E fa intendere con quanta e quale profondità l'intelligence israeliana abbia penetrato strutture e canali di comunicazione del movimento sciita.

Quello tra i due dirigenti del Partito di Dio non era un incontro qualsiasi. Solo poche ore prima Ibrahim Aqil era all'ospedale a curarsi le ferite subite in seguito alle esplosioni di cerca-persone e rice-trasmittenti che hanno ucciso, mutilato o accecato qualche migliaio fra militanti e dirigenti di Hezbollah. Un precedente sufficiente a suggerire al capo di Radwan (la forza d'elite responsabile delle operazioni al confine con Israele) la massima attenzione nell'organizzare l'incontro con Ahmed Wahabi, un altro veterano dell'organizzazione che - oltre a sedere con Aqil nel Consiglio della Jihad (il massimo organo decisionale di Hezbollah composto da soli 7 membri) - era anche responsabile di tutto il settore addestrativo di Hezbollah. Eppure nonostante l'indubbia prudenza di un Aqil abituato a dribblare il nemico fin dal lontano 1983 quando spedì un camion bomba a far saltare l'ambasciata Usa a Beirut, l'intelligence israeliana è riuscita a ottenere le coordinate dell'incontro e a colpire. Impossibile dire se il merito sia del Mossad, di Aman (l'intelligence militare) o di 8200, l'Unità di guerra cibernetica capace d'intercettare tutto quanto viene detto o scritto sui canali di comunicazione nemici e alleati.

Di certo Hezbollah è a un bivio. Deve decidere se continuare a colpire il nord d'Israele impedendo, come promette il suo leader Hassan Nasrallah, il ritorno a casa di 60mila sfollati israeliani, o se piegare la testa e metter fine al lancio di razzi e missili. Non è una decisione facile. Cessando gli attacchi Hezbollah (e con lui l'Iran) perderebbe la faccia ammettendo un'umiliazione che nei codici mediorientali è peggio di una sconfitta. Continuando a colpire l'Alta Galilea rischia però d'esporre il resto della sua cupola di comando ai raid israeliani. In questo caso i più a rischio sarebbero Ali Karaki e Talal Hamia, i due alti dirigenti chiamati a sostituire Aqil e Wahabi. Karaki, successore designato di Aqil alla testa di Radwan era, fino a ieri, il responsabile militare di tutto il fronte meridionale con competenze sugli arsenali di Hezbollah e una lunga esperienza di combattimento acquisita in anni di militanza. E ancor più nel mirino d'Israele è Talal Hamia, responsabile di quell'unità 910, conosciuta come il Mossad di Hezbollah, da cui dipendono le operazioni all'estero. Il terzo della lista è probabilmente Mohammad Haidar indiscusso pianificatore del contrabbando di armamenti provenienti dall'Iran e da altri paesi. Sulla testa di Hasan Nasrallah, leader indiscusso dell'organizzazione pesa invece un punto interrogativo.

Secondo fonti israeliane il via libera alla sua eliminazione arriverà solo se Hezbollah userà i suoi missili più potenti, e a più lungo raggio, per colpire città come Haifa e Tel Aviv o la centrale nucleare di Dimona. Leader avvisato mezzo salvato.

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