Un anno e mezzo fa la Svezia era stata oggetto di rabbiose manifestazioni in numerosi Paesi islamici, e la Turchia aveva perfino messo in dubbio la sua disponibilità a dare parere favorevole per l'ingresso di Stoccolma nella Nato. Tutto questo perché le autorità svedesi avevano consentito a un manifestante, in nome della libertà di espressione, di bruciare una copia del Corano davanti a una moschea della capitale. Quel manifestante era un giovane immigrato iracheno, si chiamava Salwan Momika, e ieri è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco in casa sua a Soedertaelje, un sobborgo di Stoccolma.
Cinque persone sono state arrestate per l'omicidio di Momika, e secondo la prassi scandinava la polizia si mantiene più che abbottonata. Non si sa chi siano questi cinque, e nessuno parla degli sviluppi delle indagini, ma una cosa è certa: il caso è lungi dal venire trattato come un episodio di criminalità comune. Lo stesso capo del governo svedese, Ulf Kristersson, ha dato la misura della gravità dell'accaduto e della serietà con cui il governo lo sta seguendo, intervenendo di persona in conferenza stampa. Kristersson ha dichiarato che viene presa in seria considerazione la possibilità dell'intervento di una potenza straniera in questo assassinio. Per questa ragione, i servizi di sicurezza svedesi saranno coinvolti nelle investigazioni.
La lista dei Paesi e delle entità straniere che potrebbero aver voluto la morte di Momika e aver attuato il suo assassinio in Svezia è, almeno potenzialmente, lunga. In questa fase, però, si possono solo fare delle ipotesi. Se è vero che la collera dei musulmani era esplosa in decine di Paesi dopo la sua azione provocatoria, lo è altrettanto che alcuni Paesi sono più sospettabili di aver armato gli assassini. Va ricordato per esempio che il giovane ucciso ieri veniva dall'Irak, dove non mancano movimenti estremisti islamici, sciiti ma anche sunniti, che considerano l'attivismo anti islamico una vergogna da lavare con il sangue: nel giugno del '23, dopo che Momika aveva bruciato il Corano a Stoccolma, una folla furiosa aveva fatto irruzione nell'ambasciata svedese a Bagdad, pretendendo l'espulsione dell'ambasciatore. Ma anche Paesi come l'Iran, con la sua sinistra tradizione di emettere delle fatwa (verdetti religiosi con la valenza di un ordine ad agire anche all'estero) a carico di responsabili di blasfemia o apostasia dell'islam, o il Pakistan in cui si sono verificati casi drammatici di persecuzioni contro la minoranza cristiana che vive in quel Paese, sono meritevoli di attenzione. Senza dimenticare che il capo ceceno Ramzan Kadyrov aveva a suo tempo dichiarato che, una volta concluso l'impegno militare a fianco della Russia contro l'Ucraina, si sarebbe «dedicato» ai nemici dell'islam in giro per il mondo.
Salwan Momika era sempre stato considerato un problema dalle autorità svedesi. Un attivista anti islamico le cui dichiarazioni, potenzialmente incendiarie come le sue azioni iconoclastiche, venivano tollerate in virtù dell'alto grado di protezione che la Costituzione svedese garantisce alla libertà di espressione individuale. In Svezia, inoltre, non esiste una legge contro la blasfemia, ed è lecito criticare anche aspramente in pubblico qualsiasi religione.
Si ricorda che Momika aveva detto una volta che «il Corano dovrebbe essere bandito in tutto il mondo a causa dei pericoli che comporta per la democrazia, l'etica, i valori umanitari e diritti delle donne: semplicemente, non è adatto al nostro tempo». Qualcuno ha ritenuto che avesse passato il segno, e ora bisognerà scoprire da dove è venuto l'ordine di chiudergli la bocca per sempre.
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