I nuovi decreti sicurezza a prova di pm d'assalto

Viminale al lavoro su rimpatrio dei violenti, verifiche sull'età dei minori e incremento dei Cpr

I nuovi decreti sicurezza a prova di pm d'assalto
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La maggioranza di governo è al lavoro per mettere un freno all'ondata anomala di sbarchi che da gennaio di quest'anno attanaglia l'Italia intera. Abbiamo superato quota 114mila arrivi: 25.684 ad agosto e 23.401 a luglio. Entro questo mese sarà varato il nuovo decreto Sicurezza per limitare, controllare gli ingressi e valutare i rimpatri. Al momento sul tavolo la discussione è aperta in merito a opportunità e nuove proposte ma sempre con la barra rigida sulla massima attenzione per evitare che si possa incorrere, e quindi rischiare di soccombere, in ricorsi e rinvii a giudizio a opera di pubblici ministeri che altro non aspettano se non di puntare il proprio dito indice contro provvedimenti di contrasto agli sbarchi irregolari. Non dimentichiamo che è ancora pendente il procedimento penale a Palermo, per sequestro di persona e rifiuto d'atti d'ufficio, contro il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, quando da titolare del Viminale nell'agosto 2019, aveva impedito lo sbarco di 163 migranti per 19 giorni. Per non incappare in situazioni simili, leccornie per certi pm a caccia di notorietà, gli uffici legilativi stanno studiando nei dettagli ogni ipotetica mossa.

Il nuovo decreto Sicurezza si dovrebbe fondare di base su tre aspetti centrali: la velocizzazione delle norme che regolano il rimpatrio di soggetti pericolosi e violenti con un alto profilo criminale già acclarato; l'incremento del numero dei centri di permanenza rimpatri (Cpr) sull'intero territorio nazionale e il rafforzamento delle misure vigenti; la revisione della legge Zampa sui minori stranieri non accompagnati per l'accertamento dell'età evolutiva con metodi scientifici accurati. Insomma un equilibrato giro di vite contro chi ha intenzione di farsi ospitare violando le leggi nazionali. Ecco perché risulterà necessario mettere mano anche ai rimpatri e accorciare i tempi per coloro che non ottengono il titolo di asilo, protezione internazionale o speciale. A oggi i tempi per definire le pratiche sono lunghi e spesso macchinosi: tra i 24 e i 30 mesi. La prima parte è per così dire standard: il migrante, tramite l'aiuto di un mediatore culturale, fa richiesta di asilo alla Commissione prefettizia che ha il dovere di esaminare accuratamente il documento avvalendosi di audizioni, interprete e prove che eventualmente attestino lo stato di necessità e di rischio per la persona di essere rimandata nel paese d'origine. Il termine massimo per ottenere una risposta sul diritto all'asilo è di 180 giorni. Considerando l'entità dei numeri correnti i sei mesi passano tutti per via dell'enorme mole del lavoro. A oggi tuttavia oltre il 70% delle domande di asilo è negata, ma i denegati possono imbastire il ricorso presso la giustizia ordinaria. In questo caso si avvalgono di avvocati che prestano il gratuito patrocinio cui però, neanche a dirlo, la parcella viene automaticamente pagata dallo Stato italiano: circa 1.500 euro per ciascuno. Quanto ai tempi di definizione del processo sono davvero lunghi: la sentenza non arriva mai prima dei 18, o 24 mesi. Nel frattempo il migrante ricorrente continuerà ad avere il diritto a rimanere in Italia con tanto di documento di legge.

Ovvero l'apposito permesso di soggiorno e potrà soggiornare utilizzando i Sai (Servizi di assistenza immigrazione offerti dai comuni), oppure i Cas, o ancora uscire e trovarsi un alloggio alternativo e finanche delinquere a piacere: in questo caso potrebbe incorrere nel rimpatrio coatto dopo la permanenza minima in un Cpr. Nella migliore delle ipotesi lo straniero potrebbe anche scegliere di lavorare visto che il ricorso vale comunque quanto un permesso di soggiorno.

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