I paletti di Meloni: "Garanzie a Kiev ma con Usa e Nato. Più soldi alla difesa senza tagli sociali"

La premier al Consiglio europeo: "ReArm? Nome non adatto. Non useremo i fondi di coesione per le armi"

I paletti di Meloni: "Garanzie a Kiev ma con Usa e Nato. Più soldi alla difesa senza tagli sociali"
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Già il nome, ReArm Ue, dice Giorgia Meloni papale papale, «non ci piace, è infelice, non rende giustizia al lavoro nobile che stiamo facendo, manda un messaggio impreciso». Poi siamo contrari ad usare per la difesa i fondi di coesione, che servono allo sviluppo e a spese sociali, come sanità, welfare, scuola. Infatti, «come abbiamo chiesto», non sarà obbligatorio. E insomma, visto da Roma il piano von der Leyen da 800 miliardi non è tutto da buttare, «ben venga anzi l'idea di allentare il Patto di stabilità, scorporando lo sforzo economico chiesto ai singoli Paesi dai vincoli del debito». Servono «garanzie per gli investimenti privati», serve pure non rompere con Washington, perché da soli non ce la possiamo fare. E rilancia la proposta di un vertice urgente Usa-Ue. «È impossibile garantire la sicurezza dell'Europa e dell'Ucraina senza la Nato», sintetizza Antonio Tajani.

A Bruxelles riunione fiume del Consiglio straordinario, primo appuntamento a 27 dopo il corto circuito alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky. Le decisioni formali verranno prese il 20 e 21 marzo intanto, riportano fonti di Palazzo Chigi, è «importante mettere le carte sul tavolo» e offrire, pure plasticamente, l'immagine di un Europa che si stringe attorno a Kiev. «Se non l'avessimo sostenuta, oggi non si parlerebbe di pace», commenta la Meloni. Il documento finale non lascia dubbi: la Ue sta con l'Ucraina, nessun negoziato senza di loro, un cessate il fuoco deve portare a una pace «giusta e duratura», occorrono garanzie e deterrenze verso future azioni militari russe. Così la Unione cerca di rientrare in gioco.

Il presidente ucraino è il protagonista della giornata. Le foto tra Ursula e Costa, gli incontri, i gruppi di lavoro. Sul punto, il sostegno «incrollabile» a un Paese aggredito, non si registrano gravi disaccordi. Sul come invece, le divergenze sono ampie. L'ombrello nucleare anglo-francese? Soldati europei sul campo? Giorgia è contraria all'invito di truppe, mai comunque italiani. «Molto più utile estendere le garanzie dell'articolo 5 della Nato su Kiev». In questa cornice la Meloni cerca di tenere una linea di mediazione con Washington. L'Italia è favorevole, con cautela, al ReArm, e ottiene la discrezionalità sui fondi di coesione. «Usarli per la difesa è una opportunità, non una priorità», dice Raffaele Fitto, vicepresidente della Commissione. Poi c'è la questione del target: lo sforzo economico dei vari Paesi, oltre ad essere scorporato dal Patto di stabilità, rientrerà nel calcolo dell'obiettivo del due per cento del Pil da destinare alle spese militari? Roma preme affinché finisca anche nel rendiconto della Nato, che è un modo per tendere una mano a The Donald. «Sicuramente», sostiene Tajani, «dobbiamo spendere di più per la sicurezza, di cui le armi sono solo una parte e per l'Italia c'è un grande lavoro da fare a livello politico». Di più. «Forza Italia e sempre stata a favore della difesa europea, era il grande sogno di De Gasperi e poi di Berlusconi. Ma sicurezza non sono soltanto i carri armati, significa pure investire nella tecnologia e nei controlli, vigilare nelle nostre strade e difendersi dai rischi del terrorismo. Ma guai a spezzare il filo con gli Usa. «Senza un solido rapporto transatlantico è impensabile garantire la protezione dell'Ucraina». La prudenza della premier sconta pure le divisioni nella maggioranza, fronte Lega.

Da Salvini che chiede di usare gli 800 miliardi in altri settori a Giorgetti che ha definito il piano «frettoloso e senza logica». Diverse «sensibilità», che Meloni prova a ridurre così: investire in difesa non significa sottrarre fondi alla sanità. E cambiare nome al ReArm aiuterà a stabilizzare il governo.

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