I pm entrano nelle urne: arrestato candidato di Fi

A Palermo in manette Polizzi (ex Udc): avrebbe stretto un patto con i Sansone, uomini vicini a Totò Riina

I pm entrano nelle urne: arrestato candidato di Fi

Sul filo di lana. Pietro Polizzi, candidato alle elezioni comunali della città più grande alle urne domenica Palermo finisce in manette. L'accusa è pesantissima: scambio elettorale politico-mafioso. In un'intercettazione datata 10 maggio, nel suo comitato elettorale l'uomo, già consigliere provinciale con l'Udc e alle scorse elezioni candidato con la civica «Uniti per Palermo Sindaco Orlando», prenderebbe accordi per le elezioni con Agostino Sansone, imprenditore edile (anche lui arrestato) e fratello del «padrone di casa» di Toto Riina, proprietario dell'abitazione in cui il boss venne arrestato nel 1993. Ma Sansone era intercettato dalla procura di Palermo. E all'esponente della famiglia di costruttori, fedelissimi del boss di Cosa Nostra, Polizzi ascoltato dagli inquirenti - per due volte avrebbe ribadito che «se sono potente io, siete potenti voialtri». Insomma, un patto elettorale scellerato, in cui il candidato avrebbe assicurato il suo sostegno in cambio di un appoggio in vista delle urne. Così la procura ha lavorato alla velocità della luce due settimane hanno impiegato i pm per la richiesta di misura cautelare, quattro giorni il gip a concederla, e con un notevole tempismo, giustificato dai magistrati con la necessità di «scongiurare il pericolo» di trasformare il voto in «merce di scambio», ha fatto scattare le manette a una manciata di giorni dalle elezioni.

Nessuna polemica per i tempi a dir poco scottanti arriva da Forza Italia, il cui coordinatore regionale Gianfranco Micciché riconosce l'errore in buona fede e se ne assume le responsabilità. Mentre il candidato sindaco Lagalla addirittura plaude alla celerità dell'operato della magistratura e Adelaide Mazzarino, candidata «in ticket» con Polizzi e da lui citata nelle intercettazioni, rinuncia spontaneamente alla sua corsa elettorale. Ma ovviamente il tintinnar di manette fa scatenare la chiamata alle armi della questione morale da parte del centrosinistra e non solo. C'è infatti l'ex premier Giuseppe Conte tra i primi a dirsi «inquieto» per l'arresto, invitando «la parte sana di Palermo a voltare pagina». Anche l'ex ministro Francesco Boccia, ora responsabile Enti Locali del Pd, in una nota punta il candidato del centrodestra Lagalla, derubricando il «non lo conosco» riferito a Polizzi come «scusa penosa». E dimenticando, come tutti, che alle scorse elezioni Polizzi correva in una lista a sostegno di Leoluca Orlando. Troppo ghiotta l'occasione, a quattro giorni dalle elezioni, per non buttarsi in picchiata su un tema che, in Sicilia, ha sempre un grande appeal. E così, nonostante l'immediata presa di distanza e l'ammissione dell'errore nella scelta di un candidato che aveva già saltato in altri partiti in passato e a cui erano stati chiesti certificati penali e antimafia, la corsa a strumentalizzare l'arresto sotto urne è già partita prima ancora che il candidato in odor di mafia finisse materialmente dietro le sbarre.

Così al coro si unisce anche il candidato di Pd, M5s e sinistra alla successione di Orlando, Franco Miceli, che strepita contro la «ambiguità di Lagalla» e basandosi sul proprio fiuto si dice preoccupato che «non sia un caso isolato». Sempre riferendosi all'arresto dell'uomo che, nel 2017, sosteneva la corsa di Orlando a Palazzo delle Aquile, correndo nella stessa lista con candidati poi entrati in consiglio nella maggioranza del sindaco uscente.

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