Milano - Sarà anche vero che ormai l'interminabile faida interna alla Procura di Milano ha stremato l'interesse dei non addetti ai lavori, e che il viluppo di questioni di potere, manovre di corrente e odii personali che sta dietro al disastro di questi mesi si è fatto così aggrovigliato da risultare inestricabile anche per i protagonisti. E sarà quindi vero ciò che uno dei magistrati più vicini al procuratore Edmondo Bruti Liberati racconta ieri, a fine mattinata: «Dicono che questo scontro ha rovinato l'immagine della Procura, ma francamente non ci sembra di vedere sotto le nostre finestre schiere di cittadini scandalizzati». E che insomma alla fine la gente se ne infischi è probabile. Ma c'è una categoria che di quanto accade nel palazzo di giustizia milanese non può disinteressarsi: sono gli utenti del sistema giustizia, gli avvocati ma soprattutto i cittadini che ogni giorno si trovano alle prese con le decisioni dei giudici. E che di questo scontro senza quartiere rischiano di essere le vittime inconsapevoli, travolti da un clima in cui ogni sentenza può essere letta non come atto di giustizia ma come una puntata della faida; e di restare con la sgradevole sensazione di essere assolti o condannati non perché le prove ci sono o non ci sono, ma per i regolamenti di conti interni alle fazioni.
Il primo a denunciare pubblicamente questa sensazione è stato Vito Gamberale, il numero uno del fondo F2i, indagato e imputato in una delle inchieste più aspramente contese tra il gruppo vicino a Bruti Liberati e l'arcinemico del procuratore, il suo «vice» Alfredo Robledo. Già prima dell'estate, in tempi non sospetti, Gamberale aveva manifestato il suo disagio, «siamo strumenti di una contrapposizione». L'altro giorno Gamberale è stato prosciolto con formula piena dall'accusa di turbativa d'asta per cui Robledo chiedeva il suo rinvio a giudizio. Decisione tecnicamente ineccepibile. Ma è ugualmente partito il tam tam delle dietrologie: ecco, vedete, il giudice ha prosciolto Gamberale per fare un dispetto a Robledo, perché è lo stesso giudice che nel Consiglio giudiziario si è schierata contro Robledo e a favore di Bruti.
La stessa ridda si ripete ad ogni sentenza. Se Robledo perde un processo, gongola il fronte dei «Bruti boys», mentre i fan di Robledo si sentono vittime dell'accerchiamento, e fanno notare che curiosamente da quando Robledo è partito lancia in resta contro il capo le sue indagini vengono fatte a pezzi dai giudici: come quando le banche accusate di avere truffato il Comune di Milano vengono assolte in blocco, o come quando Roberto Formigoni viene prosciolto da una delle accuse di corruzione mosse da Robledo. Sentenze che magari in altri tempi verrebbero considerate fisiologiche divergenze tra giudici, oggi si ritrovano lette in controluce come tasselli della faida. Lo stesso accade per le sconfitte del fronte avverso, e persino la avocazione da parte della Procura generale di alcune indagini di Francesco Greco (anche lui procuratore aggiunto, assai vicino a Bruti Liberati) viene spiegata dai dietrologi come un calcio negli stinchi indiretto al procuratore capo. E questo retrogusto cala su processi grandi e piccoli, dovunque giudici e pubblici ministeri possano essere etichettati come «brutiani» o «roblediani».
Con che serenità si possa amministrare e ricevere giustizia in simili condizioni, è facile immaginarlo. E d'altronde anche l'esito del processo più importante di tutti, l'assoluzione di Silvio Berlusconi per il caso Ruby, è stata spiegata da pm vicini a Bruti Liberati come una conseguenza della «delegittimazione» della procura causata dall'offensiva di Robledo: da quel momento in poi ogni dietrologia è divenuta lecita. E la decisione del luglio scorso del Consiglio superiore della magistratura (suggerita da un diktat del capo dello Stato) di lasciare la procura di Milano in mezzo al guado, senza rimuovere nessuno dei contendenti, ha creato le condizioni perché questo disastro si trascini all'infinito.
Ora Bruti si è impadronito delle competenze di Robledo, negli ambienti a lui vicini si fa presente che «adesso finalmente le indagini sulla corruzione si aprono e si chiudono in fretta», e per il 6 novembre il capo ha convocato una assemblea generale dei pm per pacificare gli animi. Ma non sarà una passeggiata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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