I timori dell'Ue e il rilancio di von der Leyen. "Pronti alla guerra, riarmati entro il 2030"

Domani Consiglio: avanti in 26 se Orbán si mette di traverso

I timori dell'Ue e il rilancio di von der Leyen. "Pronti alla guerra, riarmati entro il 2030"
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Molta attesa, poca fiducia e guardia altissima. Così l'Europa attende l'esito delle trattative in corso con gli Stati Uniti di Donald Trump a fare la parte del padre e padrone. Non vuole essere tagliato fuori il Vecchio Continente ma soprattutto non si fida per nulla di Putin, nella convinzione che l'invasione dell'Ucraina sia solo il primo passo di una politica espansionistica e aggressiva che finirà presto nel concretizzarsi verso altri Paesi. «Se l'Europa vuole evitare la guerra, deve prepararsi alla guerra», ha ribadito la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, alla vigilia di un vertice europeo che si preannuncia infuocato.

Quello di von der Leyen, in visita in Danimarca, è l'ennesimo manifesto, teorico e programmatico, per l'Europa. «Potremmo desiderare che queste cose non fossero vere. O che non dovessimo dirle così schiettamente. Ma ora è il momento di parlare onestamente in modo che ogni europeo capisca cosa è in gioco», ha spiegato. «L'Europa si trova di fronte a una scelta fondamentale sul suo futuro. Continuiamo a reagire a ogni sfida in modo graduale e cauto? O siamo pronti a cogliere questa opportunità per costruire un'Europa più sicura? Un'Europa che sia prospera, libera e pronta, disposta e in grado di difendersi. Entro il 2030 serve una forte posizione di difesa», ha detto la presidente della Commissione senza giochi di parole o metafore. Per i leader europei servono misure drastiche per non farsi cogliere impreparati.

È quello che sostiene anche Kaja Kallas, alta rappresentante di Bruxelles per la politica estera che ieri era a Londra dove ha incontrato tra gli altri i ministri degli Esteri e della Difesa britannici, David Lammy e John Healey. «Coordinare gli sforzi congiunti di Ue e Regno Unito e rilanciare il sostegno all'Ucraina, assicurare che la Russia paghi un prezzo per la sua aggressione», ha chiesto Kallas. Nel Regno Unito ha trovato terreno fertile, con il premier Starmer in prima fila nel sostegno a Kiev e nella difesa comune con Lammy che ha parlato apertamente di «un momento generazionale decisivo per il nostro continente, dinanzi al quale è vitale la partnership con l'Ue».

Se da una parte l'asse si rafforza, con l'altro protagonista più attivo, il presidente francese Macron, che in visita a una base militare rilancia investimenti nella Difesa, l'Ue rischia ancora di andare avanti in ordine sparso. Soprattutto a causa dell'Ungheria di Orbán che per mezzo del ministro per gli affari europei Janos Boka, ha annunciato che Budapest «non è in grado di supportare la parte delle conclusioni del Consiglio europeo sull'Ucraina. Siamo contrari alla visione strategica su come creare una nuova architettura di sicurezza europea». Una chiusura, l'ennesima, di uno dei leader da sempre più filorussi nel Vecchio Continente. Ma in vista del Consiglio europeo di domani, Bruxelles non vuole farsi trovare impreparata. «Nessuno ha dubbi sul fatto che c'è una divergenza con uno Stato membro.

L'obiettivo dovrebbe essere sempre quello di avere delle conclusioni a 27, ma se non è possibile e se la divergenza strategica viene mantenuta - e abbiamo tutte le indicazioni che verrà mantenuta - andremo avanti a 26», ha spiegato un funzionario europeo. Avanti, dunque e schierati mai in maniera così netta. Con Kiev, contro Putin e in guardia rispetto agli Stati Uniti. Almeno in teoria perché dalle parti di Bruxelles le certezze sembrano sempre ipotetiche.

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