Conflitti di interesse, riorganizzazione delle prime linee e asset in perdita. L'ex Ilva si sta rivelando una scalata complessa e una sorta di vaso di Pandora per i tre commissari nominati dal governo. Così, la prima stima ipotizzata dal commissario Giovanni Fiori per far ripartire la macchina aziendale e pari ad almeno un miliardo sembra decisamente conservativa. Un miliardo è solo il primo tassello finanziario per cominciare a rialzare la testa, ma le criticità sullo sfondo sono tante e riguardano la «governance interna» e la gestione di asset collaterali che accrescono giorno dopo giorno i debiti delle casse già vuote dell'azienda. I commissari si muovono poi su un terreno scivoloso, perché secondo una fonte vicina al dossier, l'ex ad Lucia Morselli indagata dalla procura di Taranto per inquinamento ambientale e rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro avrebbe «piazzato in settori strategici alcuni manager di fiducia che appartenevano alle prime linee». Inoltre, in queste settimane, alcune figure di spicco hanno abbandonato il proprio ruolo per «malattia» rallentando di fatto le gestione ordinaria. Un primo punto fermo, in tal senso, è arrivato lunedì con la nomina di Giuseppe Cavalli a direttore generale.
Ma in azienda, il lavoro è tanto, e non mancherebbero le incongruenze. Secondo quanto risulta a il Giornale, a capo dell'ufficio legale interno di Adi figura (come ufficialmente indicato anche sul sito) l'avvocato Fabio Montin, direttore Affari Legali di Acciaierie d'Italia. «L'azienda però, per tutte le pratiche legate agli aspetti commerciali si appoggia anche a uno studio legale esterno, lo studio NSL, di cui lo stesso Montin è fondatore e proprietario insieme all'avvocato Rizza», racconta una fonte che spiega come Montin «non figuri ufficialmente tra i legal operativi di NSL, ma sia comunque in palese conflitto di interesse». Dettagli che iniziano a fare la differenza in un'azienda che non ha più tempo, né soldi.
Secondo fonti interne ad Adi resta poco meno di una settimana di vita produttiva. Il governo, pur avendo incassato la disponibilità di Bruxelles al prestito ponte di 320 milioni di euro, soldi appena necessari a far ripartire lo stabilimento, deve fare pressioni su Bruxelles e sui suoi tempi: per sbloccare i fondi servirebbero 40 giorni. Ma sono troppi per le necessità di Taranto che, per il momento, ha finito le materie prime e a marzo non ne prevede l'arrivo in azienda.
Una situazione che si fa ancora più grave guardando al business ancillare dello shipping. I commissari stanno individuando in questa divisione (la Adi Servizi Marittimi, che con le altre controllate dell'ex Ilva potrebbe essere dichiarata insolvente entro la settimana) una situazione difficilissima. L'ex Ilva ha infatti da oltre un anno una maxi nave commerciale ferma nel porto di Singapore che perde circa 15mila dollari al giorno (e non produce utili). La nave Gemma: un bulk carrier da 313mila tonnellate di portata lorda costruita dal cantiere cinese Dalian Shipbuilding Industry Corp e consegnata nel 2012 alla famiglia Riva all'epoca proprietaria dell'Ilva.
Attraverso Ilva Servizi Marittimi i Riva la pagarono oltre 60 milioni di dollari. Un asset che oggi vale circa 50-55 milioni di dollari è di cui nessuno si è mai occupato. Durante la gestione Arcelor, è stata ristrutturata a spese dell'azienda ma, ad eccezione di qualche scalo nel porto di Taranto, non ha quasi mai operato per l'Ilva ed è stata invece talvolta noleggiata a terzi per il trasporto di minerali di ferro dal Sud America all'Asia. Ora è ferma nel porto di Singapore, come un vuoto a perdere di denaro (pubblico).
Se in questi anni la sua gestione sia stata industrialmente sensata è facile stabilirlo, ma a quanto ammontano oggi le sue perdite? I bilanci lo certificheranno, ma il lavoro per i commissari rischia di essere più lungo e complesso del previsto. E il tempo stringe. Taranto a marzo rischia di veder spegnersi anche l'ultimo altoforno in funzione.
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