Confesso che un tempo i lussemburghesi mi erano molto simpatici: il mio idolo era il ciclista-scalatore Charlie Gaul che perse il Giro d'Italia 1957, poco più di sessant'anni fa, per essersi attardato sul Bondone a fare un «bisognino» improvviso sul ciglio della strada. Oggi, però, i suoi connazionali del Granducato stanno diventando un po' antipatici per colpa di un altro lussemburghese, Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Europea che, nonostante il momento delicatissimo per l'Italia con le elezioni politiche alle porte, non perde mai occasione per farla anche lui fuori dal vaso. E, ogni volta che parla di noi, le Borse crollano e lo «spread» s'impenna. Dopo il «numero uno» di Bruxelles cerca di rimediare ma, ormai, il danno è fatto. Intendiamoci, anche se, alla vigilia del voto, sarebbe stato molto meglio un suo «no comment», Juncker non ha, comunque, torto a paventare tante incognite sul futuro dell'Italia in caso d'instabilità politica. Rischi che incombono sulla nostra testa e che non sono affatto campati in aria anche se contrastano con l'eccessivo ottimismo sbandierato da Matteo Renzi & C, a cominciare dalla ripresa economica: non è un caso che, proprio contro il pericolo di una diffusa speculazione internazionale, Silvio Berlusconi (lui ne sa qualcosa) abbia subito invocato il «voto utile».
Ma, al di là delle parole di Juncker, «l'affaire» rischia di complicarsi ancor più: cosa succederebbe, infatti, se il voto del 4 marzo dovesse, piuttosto, attribuire una maggioranza stabile ai Cinque stelle? Cosa potrebbe capitare se Luigi Di Maio avesse i numeri per salire davvero sul Colle con la lista dei ministri come ha già cercato di fare in questi giorni? Magari, se necessario, assieme a Liberi e Uniti di Piero Grasso e di Laura Boldrini? Basterebbe rileggere il programma dei due partiti in tema di debito pubblico, tasse, imprese, euro ed Europa - così come ricordarsi di certi slogan populistici del rampante segretario grillino o dei presidenti uscenti dei due rami del Parlamento -, per rendersi conto di quanti potrebbero diventare le incognite sul futuro del Belpaese: dieci, cento, mille Juncker. Se è stata sufficiente una semplice esternazione dal pulpito della Commissione Ue per mandare in «tilt» i mercati finanziari, cosa succederebbe se, dopo il voto, invece che un «semplice» problema di instabilità politica, si dovesse presentare un'emergenza ancora più grave: l'insediamento a Palazzo Chigi dei Cinque stelle, magari in tandem con la Boldrini libera e bella? Il caso diventerebbe da «allarme rosso» anche perché, a quel punto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non avrebbe più margini di manovra, tipo scioglimento anticipato delle Camere e ricorso a nuove elezioni a stretto di giro di posta. In una situazione del genere, non ci sarebbe solo un problema di instabilità politica, ma di «governabilità diversa» con i riflettori dell'Europa e di tutti i mercati finanziari puntati sulla penisola.
Moltiplicata per dieci, l'Italia diverrebbe così, agli occhi del mondo, una specie di Grecia-bis. E, ricordando cosa successe ad Atene quando al potere andò Tsipras, saremmo davvero al centro di una tempesta speculativa internazionale: un pianto all'italiana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.