Good morning Vietnam. Si comincia già dalla mattina. L'occasione a Italia viva la fornisce una pregiudiziale di costituzionalità presentata da Forza Italia sul decreto legge del 14 gennaio che conteneva le misure anti Covid.
Prende la parola la senatrice di Italia viva Laura Garavini e si capisce da subito che per Renzi la trattativa parte con un nuovo rilancio. Garavini annuncia l'astensione del suo gruppo. La tesi è, in sostanza, che una legge-fotocopia del Dpcm non funziona, perché i testi alla fine sono diversi e il Parlamento si ritrova a poter modificare il decreto ma non parti del Dpcm che rimangono in vigore. Critiche mosse già da diversi costituzionalisti, come Alfonso Celotto: «È proprio così, è una modalità che esautora il Parlamento». «Un modo di procedere -dice Laura Garavini- che non solo crea confusione tra i cittadini, a causa della sovrapposizione tra i diversi testi. Ma che viola le regole democratiche dei rapporti tra le fonti normative».
Il problema è il solito: nonostante la striminzita fiducia incassata da Conte al Senato, Renzi ha ancora i mezzi per innescare il più classico dei vietnam parlamentari, costringendo il governo a parare colpi su colpi e a trattare su tutto, ma non va fino in fondo. Perché, nonostante i proclami bellicosi ribaditi ieri nell'ultima delle sue enews («Noi non molliamo»), l'ex premier non ha abbastanza consenso da rischiare le urne e pare avere un controllo relativo sul proprio gruppo al Senato. Alla fine la pregiudiziale sarà bocciata con 140 voti contro 122. Si prosegue tirando la fune ma senza strappare.
Perché nella pattuglia che ha mandato in crisi il Conte Bis, si agitano tensioni opposte. C'è Eugenio Comincini, proveniente dal Pd lombardo, che avvisa: «Se Iv andasse all'opposizione non me la sento di andarci anche io: bisogna fare tutto il possibile per ricucire lo strappo». E sull'altro fronte Gelsomina Vono, avvocato, ex 5 Stelle delusa: «C'era chi avrebbe preferito votare contro la fiducia anziché astenersi, ma nel nostro gruppo c'è dialogo e quel rispetto delle istituzioni che dall'altra parte non c'è stato». Il riferimento è a Conte, che per la senatrice avrebbe fatto bene a dimettersi. «Parere personale», sottolinea.
Renzi dunque ha spazi limitati in cui muoversi e alla fine l'astensione pare una necessità, ancor prima che una scelta, per tenere unito il gruppo, in attesa di vedere se Conte riesce a procurare una nuova «stampella» alla maggioranza o torna a Canossa. Intanto il partito ribelle prepara nuove azioni di guerriglia. «Se c'è da votare cose per il bene dell'Italia le voteremo, ma noi siamo liberi da ora», incalza il leader di Rignano. Il clima in Senato del resto lo aiuta. Ieri è andato a vuoto il tentativo di mozione bipartisan sullo scostamento di bilancio, che il centrodestra ha sempre votato per senso di responsabilità. E il governo si è irrigidito sue due ordini del giorno del Comitato per la legislazione presieduto dal Pd Stefano Ceccanti, che li definisce «pacatissimi». Alla fine il governo fa dietrofront.
E ora c'è una nuova data da segnare in rosso sull'agenda di Conte. Martedì prossimo si vota alla Camera la relazione sulla giustizia del ministro Bonafede, il più inviso ai renziani. Renzi annuncia il no, qualcuno tra i suoi chiede però di discuterne nel vertice fissato per oggi.
Di solito si vota sulla relazione nello stesso giorno anche in Senato, ma la data verrà fissata lunedì nella conferenza dei capigruppo. Dove ora i giallorossi sono minoranza. È la nuova scommessa di Matteo: «Come faranno?».
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