
Cielo limpido, temperature miti, nonostante i venti che soffiano da nord. Climaticamente, la giornata ideale per sfruttare il «rapporto speciale» tra Donald Trump e Giorgia Meloni e per far giocare alla premier quel ruolo di «ponte» tra Stati Uniti e Unione europea, come auspicato dalla Casa Bianca. La presidente del Consiglio si presenta in perfetto orario all'appuntamento col tycoon, che alle 12 la attende davanti all'ingresso della West Wing. «È una grande persona», dice Trump rivolto ai giornalisti, dopo che Meloni, in tailleur bianco, è scesa dal Suv ministeriale col quale ha percorso i pochi metri che separano la Blair House, la residenza riservata agli ospiti stranieri di rilievo, e l'ingresso nord della Casa Bianca. Il tempo di posare per i fotografi e i due leader si dirigono verso la Cabinet Room, dove è stato allestito un pranzo di lavoro tra le due delegazioni. Nel menu, anche carciofi e radicchio grigliato. C'è tempo per un breve scambio di battute coi cronisti, prima dello «spray» più esteso che andrà in scena nello Studio Ovale. A fianco di Trump siedono il vice JD Vance e il segretario al Tesoro, Scott Bessent, l'uomo che ha fatto (per ora) correggere la rotta al presidente nella Guerra dei Dazi scatenata il 2 aprile. Al tavolo, per la parte americana, anche il consigliere per la Sicurezza nazionale, Mike Waltz, e il capo del Pentagono, Pete Hegseth, i protagonisti del «Signalgate».
Il confronto sembra prendere subito la piega giusta. Il linguaggio del corpo del tycoon, rilassato e sorridente, tende sul sereno, non tende trabocchetti a Meloni, come è ormai solito fare con i suoi ospiti internazionali, per orientare il discorso a suo vantaggio. Il nuovo formato inaugurato da Trump per i bilaterali con i leader stranieri prevede un lungo scambio di domande e risposte con i cronisti, nel quale il presidente stabilisce da subito i termini del colloquio che poi si svolgerà a porte chiuse. L'importante, come ha verificato Zelensky, è non contraddirlo. Trump potrebbe reagire in maniera scomposta. E se proprio è necessario, si possono rettificare con garbo le «sparate» del presidente, come hanno fatto Macron e Starmer. I giornalisti vengono fatti uscire dalla grande sala. Il pranzo si protrae per oltre mezzora rispetto al programma.
Nello Studio Ovale, nuovo incontro con i cronisti. Nonostante la notizia in diretta della sparatoria alla Florida State University, il «body language» di Trump con «l'amica» Meloni non è cambiato. «Giorgia», si rivolge a lei il tycoon. Meloni alterna, «Mr. President» e «Donald». Nel toccare certi temi, perfino l'immigrazione, il tycoon appare e suona meno sprezzante che in altre occasioni. Unica eccezione, quando parla del suo predecessore Joe Biden - «il peggior presidente della Storia» - col quale Meloni si è seduta due volte qui nell'Oval Office, e col quale aveva un ottimo rapporto.
La chiave, forse, è stato quel «Make the West great again» proposto da Meloni che certo, nonostante in questa Casa Bianca isolazionista l'imperativo sia tutto «Maga» e «America first», non deve essere dispiaciuto a Trump.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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