Il ministro della Giustizia ha affrontato il dibattuto tema delle intercettazioni, riaccendendo polemiche e discussioni. Dopo l'opposizione e la stampa, anche il Comitato direttivo dell'Anm, nonostante una significativa spaccatura al suo interno, ha duramente attaccato Carlo Nordio, ravvisando nel suo intervento la volontà di indebolire la lotta alla mafia, alla corruzione e ai reati di grave allarme sociale e di imbavagliare la stampa. Sgombriamo il campo dagli equivoci. Lo strumento delle intercettazioni non può e non deve essere messo in discussione trattandosi di un mezzo di ricerca della prova fondamentale per tutte le altre ipotesi di reato che attengono alle non meno gravi forme di criminalità comune. Ciò detto, per misurare se effettivamente il governo abbia voluto fare un passo indietro, bisogna guardare ai fatti e non alle parole. Ed i fatti dicono che prendendo spunto da una sentenza della Cassazione del 30 marzo del 2022, che voleva restringere l'uso delle intercettazioni per reati di mafia, il governo ha emanato un decreto per stabilire che nella nozione di «criminalità organizzata» debbano rientrare non solo i reati di mafia anche i procedimenti riguardanti reati compiuti col «metodo mafioso». Dunque, attenendoci ai fatti e non alle parole, questo decreto testimonia una volontà di rafforzamento anziché di indebolimento della lotta alla mafia, andando addirittura oltre ciò che avevano sentenziato i giudici della cassazione.
Posto che le intercettazioni sono indispensabili, il grido d'allarme lanciato dalle opposizioni costituisce allora l'estremo tentativo di alzare una cortina fumogena per impedire che vengano affrontate tre fondamentali questioni: le modalità con cui l'istituto viene maneggiato nella sua applicazione pratica; la indebita pubblicazione di notizie irrilevanti finalizzate alla gogna mediatica e alla eliminazione del nemico politico di turno quando l'indagato riveste cariche pubbliche; il tema dei costi delle intercettazioni.
Sul primo punto, la realtà degli uffici giudiziari evidenzia prassi differenti e mancanza di uniformità. Tanto per fare qualche esempio: la famosa inchiesta di calciopoli nel 2006 nata perché a Napoli c'era un GIP che concedeva le intercettazioni, mentre a Roma per quella stessa vicenda un altro giudice riteneva, invece, la non sussistenza dei gravi indizi di reato tali da legittimare le intercettazioni; la recente vicenda di Stefano Esposito ex senatore del partito democratico in relazione alla quale la Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l'illegittimità. Sul cosiddetto bavaglio alla stampa si gioca, invece, la vera partita sulla, non regolamentata, circolazione delle informazioni tra gli uffici di Procura e una parte del mondo dell'informazione e che sovente ha alterato la democrazia nel nostro Paese. Che l'argomento sia un nervo scoperto lo dimostra il fatto che già il Consiglio Superiore della Magistratura in una apposita delibera del 2016, supportato dall'illustre parere di autorevoli Procuratori della Repubblica, aveva evidenziato il dovere del pubblico ministero titolare delle indagini di compiere il primo delicato compito di filtro nella selezione delle intercettazioni inutilizzabili e irrilevanti al fine di evitarne l'ingiustificata diffusione. È giusto intercettare i reati di mafia, terrorismo e corruzione, ma se le indagini non trovano questi reati gli elementi irrilevanti non possono essere pubblicati perché altrimenti si altererebbero le regole della democrazia trasformando la nostra società in un «grande fratello». Infine la questione sui costi. È vero che, grazie alle operazioni di intercettazioni, lo Stato è in grado per il tramite del sequestro e della confisca di ottenere ingenti somme di denaro. Ma ciò non deve impedire la necessità di disciplinare un settore molto magmatico dove tutto è lasciato alla iniziativa di ditte private che svolgono le attività di intercettazioni, ai rapporti che le stesse riescono ad instaurare con le forze di polizia e con gli uffici di Procura e che propongono prodotti assoggettati a diversi costi senza una specifica e preventiva regolamentazione. Sarebbe interesse di tutti sapere come funzionano realmente i server nei quali finisce tutto il materiale intercettato.
P.S. Da ultimo una notazione.
Ha ragione Henry Jhon Woodcock quando dice che i nostri telefoni sono delle scatole nere: peccato che nella nostra recente storia giudiziaria siano stati illustri magistrati a dire di aver smarrito il proprio telefono. Le regole valgono per tutti?
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