"Intese nate in emergenza, ora comandano le aziende. Stop all'export? Difficile"

La docente di Diritto internazionale alla Bocconi. "Penali possibili, il rischio è di andare alla rottura"

"Intese nate in emergenza, ora comandano le aziende. Stop all'export? Difficile"

«Complicato». I toni tra la casa farmaceutica Astrazeneca e l'Unione Europea sono diventati incandescenti. Il litigio ha addirittura portato Bruxelles a minacciare di rendere pubblico il contratto per smentire la casa farmaceutica che minaccia di non aver alcun vincolo con gli europei. Ma a cosa può portare una guerra in questo momento? La professoressa di Diritto Internazionale e dell'Unione Europea all'università Bocconi Paola Mariani, non gira attorno al problema: «Purtroppo siamo in una fase di emergenza e dei vaccini abbiamo bisogno».

Può l'Unione Europea obbligare Astrazeneca a darci i vaccini?

«Diciamo prima di tutto che l'Unione Europea ha agito in un contesto di straordinaria emergenza, una popolazione in pericolo da salvare, e i tempi strettissimi con cui fare i conti. Dall'altra parte le case farmaceutiche hanno svolto un lavoro enorme, in tempi record, basti pensare alle sperimentazioni e alle autorizzazioni, ma è chiaro che oggi si trovano ad essere in una posizione contrattuale fortissima. La situazione è straordinaria e dunque più complessa del solito. Aprire un conflitto ora non sarebbe saggio».

Quindi non ci sono strumenti?

«No, gli strumenti ci sono, bisogna vedere se conviene metterli in atto».

Quali sono?

«Solitamente si ricorre alle penali. Quando una parte non rispetta le clausole, l'altra parte può rompere il contratto. Si fa causa. Ma in questo caso non funziona. Bisognerebbe poter leggere cosa dice, ma dubito che una casa farmaceutica abbia accettato, in una posizione di forza come oggi, regole molto rigide. È altresì plausibile ipotizzare alcuni ritardi nella distribuzione, come ad esempio è successo a Pfizer che si è giustificata parlando di problemi sulla linea di produzione. Una spiegazione data dalla stessa casa che è ragionevole data la mole di lavoro a cui è stata sottoposta. Certo, ben altra cosa sarebbe se si scoprisse che quelle stesse dosi destinate a un Paese siano andate ad altri Stati disposti a pagare di più».

In quel caso?

«Bisognerebbe dimostrare che effettivamente c'è stato un comportamento scorretto da parte dell'azienda, ma se fosse provato allora si potrebbe pensare di introdurre delle sanzioni».

Quindi una pressione da parte di Bruxelles?

«Esattamente. Adottare delle restrizioni alle esportazioni ad esempio. Un blocco».

L'Ue ha minacciato il blocco delle esportazioni delle dosi prodotte in Europa. Si può fare?

«In teoria sarebbe possibile, come è avvenuto nella prima fase della pandemia con le mascherine. In pratica bisogna essere prudenti perché nessun Paese (nemmeno l'Unione europea) è autosufficiente e le catene di produzione coinvolgono più Stati. Ecco perchè anche le minacce che fa il commissario Arcuri non sono realistiche. Per produrre i vaccini le stesse aziende farmaceutiche hanno siti di produzione dislocati in diversi Paesi. Pfizer è più localizzata in Europa ed ecco perché prima di Natale la Gran Bretagna ha approvato in tutta fretta Pfizer e ha piazzato un enorme ordinativo prima. Non è stato un caso che lo abbia fatto prima della Brexit e prima dell'Ema. Sapevano che avrebbero potuto correre questo rischio e non potevano permetterselo».

Bruxelles ha anche minacciato di rendere pubblico il contratto, può farlo?

«Solitamente questi contratti contengono clausole di non-disclosure.

È chiaro che se si inizia a non rispettare una clausola dalla segretezza. È chiaro che se si inizia a non rispettare una clausola, cade tutto. Ma io penso che dovrà vincere il buonsenso. Il dialogo. Rompere adesso non avrebbe alcun vantaggio per nessuno di noi».

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