Onorevole Mollicone, ma che le salta in testa? Lei mette in discussione la madre di tutte le sentenze, quella sulla strage di Bologna? Vidimata da Mattarella, da tutti i giornali, dal Ministro dell'Interno. Provi a spiegarmi
«Io ho detto fin dall'inizio che rispetto le sentenze e rispetto anche il presidente Mattarella. Le sentenze dicono che la matrice è neofascista. Ora, però, in Italia c'è il giusto processo, che prevede le garanzie per la difesa. Bisogna capire se è stato rispettato anche in questi processi. Da quello che leggo non mi sembra, ma non spetta a me valutarlo perché sono un deputato. Spetta, piuttosto, al Ministro della giustizia, a cui posso rivolgermi nel nome dell'articolo 68 della Costituzione, che prevede l'insindacabilità dei parlamentari che non possono essere intimiditi come invece stanno provando a fare con me. Per altro senza riuscirci».
Federico Mollicone, 53 anni, tra i fondatori di Fratelli d'Italia, oggi è deputato e presidente della commissione cultura. Con una forte capacità di infilarsi nelle polemiche
Onorevole, però c'è la testimonianza di Sparti che accusa Fioravanti e Mambro.
«La vicenda di Sparti è uno dei più grandi scandali della storia giudiziaria italiana. Sparti entra in scena a scoppio ritardato, era un malvivente, un falsario, un criminale. Tutti i familiari di Sparti, compresa la sua governante Luciana Torchia, lo smentirono. Il figlio Stefano, che ebbe il coraggio di riferire la confessione del padre sul letto di morte - che ammise di aver mentito per interesse personale, evitando il carcere grazie a una diagnosi di tumore inesistente (scambiarono le cartelle cliniche) - lo ha accusato di falsa testimonianza. Le dichiarazioni di Sparti, imputato di reato connesso e non testimone, oggi, con l'introduzione del sacrosanto principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, sarebbero finite con una condanna per calunnia».
C'è quel biglietto di Gelli con scritto «Bo» e poi il codice di un conto corrente dove è stato trovato un miliardo
«Era già emerso nel processo del Banco ambrosiano e riconosciuto come prova inattendibile. Il capo della P2, insieme al suo sodale Umberto Ortolani, al prefetto Federico Umberto D'Amato e al direttore del settimanale Il Borghese Mario Tedeschi sono stati processati da morti nel processo cosiddetto mandanti. Non si sono potuti difendere, ma la sentenza che li vuole coinvolti è stata comunque portata in aula e poi cristallizzata. Il cosiddetto documento Bologna di Gelli è ben noto dagli anni 80 perché formò oggetto di un voluminoso rapporto redatto dalla Guardia di Finanza di Milano nel 1987 e sottoposto all'attenzione della magistratura milanese che indagava sul crack dell'Ambrosiano. Non era altro che una rendicontazione interna delle consociate estere del Banco Ambrosiano».
Ma lei perché mette in discussione questa sentenza: per difendere i fascisti degli anni '70?
«Assolutamente no. I neofascisti e chi scelse la lotta armata negli anni '70 a destra erano nemici dei ragazzi del Fronte della gioventù e del MSI. Chi conosce la nostra storia non può non saperlo. Almirante era implacabile con l'estremismo a destra».
Capisce che questa sua presa di posizione ha fatto scandalo e ha messo in difficoltà anche il governo, e in particolare Giorgia Meloni
«Non ho detto nulla di nuovo e che io non abbia già detto in decine di convegni e nell'aula di Montecitorio. Sono posizioni sostenute da un fronte trasversale che va dal giudice Priore - santificato su Ustica dalla sinistra ma ignorato su Bologna quando dice le stesse cose - a Sansonetti, che ringrazio per aver dimostrato coraggio e coerenza».
Però sapeva che avrebbe fatto scandalo
«La mia intenzione non è quella di creare scandalo o imbarazzo al governo. Esattamente al contrario. Il mio più profondo desiderio è arrivare ad una lettura condivisa del dopoguerra italiano, stragi comprese. Su questo ci sono migliaia di documenti declassificati dall'ottimo lavoro del Sottosegretario Mantovano e del comitato che vanno studiati e - se necessario - attivati, che possono farci ritrovare le pagine strappate della nostra Storia. Faccio un appello ai fratelli d'Italia della sinistra: confrontiamoci in Parlamento con storici e tecnici e facciamolo insieme».
Onorevole, ma lei è un garantista?
«Sì. Ma scelgo caso per caso».
È garantista alternato come molti garantisti?
«No. Lo sono stato per anni con Silvio Berlusconi, con sindaci del Pd arrestati e poi innocenti, con la Appendino condannata per omicidio colposo per aver messo una firma e ora con Toti destituito per via giudiziaria».
Si sente un po' isolato?
«Sono abituato a combattere. Non mi spaventa nulla, neanche la derisione. Capisco Giorgia quando tutti la attaccano. Ma poi lei vince su tutto».
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