"Investiamo in Italia, patria del bello"

Il numero due del colosso del lusso Lvmh: nel nostro gruppo tante storie meravigliose

"Investiamo in Italia, patria del bello"

Dal suo ufficio al nono piano di un edificio in Avenue Montaigne si vede il celebre ed enigmatico quadro di Rothko sulla parete in fondo al lungo corridoio che porta allo studio di Bernard Arnault, l'uomo più ricco del mondo, il capo indiscusso del lusso planetario. Antonio Belloni detto Toni, direttore generale del Gruppo Lvmh (Louis Vuitton Moet Hennessy) è il numero due di questo colosso che nel mondo ha 213mila dipendenti distribuiti in 75 maison, nel 2023 ha dichiarato 86,2 miliardi di ricavi e in Borsa è stimato 425 miliardi. Nato a Gallarate nel 1954 in una solida famiglia borghese che gli passa l'etica del lavoro ma anche la voglia di viaggiare, Belloni si laurea in economia a Pavia. Poi comincia ad andare in giro per il mondo accumulando esperienze, ma sempre coltivando le passioni di un ragazzo sportivo (basket, vela, tennis e sci) che conduce una sana vita di provincia lombarda. Nel corso di questa intervista esclusiva racconterà che suo padre ha cominciato a lavorare ad appena 14 anni e poi ha fondato una piccola impresa di prodotti tessili, mentre la mamma - figlia del titolare di una grande tintoria industriale - si è sempre potuta togliere qualche capriccio tipo i viaggi. Lui ha nel suo dna questi due modi di essere e pensare: il lavoratore indefesso con un senso del dovere da calvinista e l'uomo cortese, sorridente e simpatico che fa almeno due viaggi all'anno con la moglie Giovanna che considera il suo braccio destro e a volte anche sinistro e con i loro quattro figli. La primogenita ha 29 anni e lavora per Estée Lauder, l'unico maschio ne ha 28 e ha fondato una società che apre centri di padel in Italia e a New York, poi c'è un'altra ragazza di 26 anni che ha studiato psicologia e vive a Dubai mentre la piccola a 16 anni lo sta iniziando ai misteri di TikTok.

Belloni, delle 75 maison controllate da LVMH sei sono italiane. Investite tra 150 e 200 milioni l'anno in Italia dove avete 35 manifatture d'eccellenza e 13 mila dipendenti diretti. Perché il nostro Paese è tanto strategica per un gruppo francese?

«Sono convinto che in Italia ci sia l'ecosistema naturale del bello per cui è inevitabile il legame con un gruppo come LVMH che si occupa di lusso, bellezza e qualità. Del resto quando parli dell'Italia in giro per il mondo la gente sorride sempre perché viene spontaneo associare il nostro bel Paese a qualcosa di esteticamente rilevante tipo le città d'arte e ad esperienze ludiche e appaganti come le vacanze, la cucina, lo stile di vita. È un vantaggio competitivo costruito nei secoli che non ha eguali».

L'anno scorso avete investito molto nella vostra filiera produttiva italiana, cosa farete nel 2024?

«Arriveremo presto a superare i 15mila addetti e vogliamo continuare ad assumere perché solo in Italia si trovano e si possono formare degli artigiani dalle mani d'oro. Non è per caso che le manifatture fanno da capofila a circa 5.000 aziende fornitrici distribuite sul territorio nazionale».

Cosa dovrebbe fare il governo per sostenere ulteriormente il vostro settore?

«Personalmente ho un'esperienza molto positiva a livello di collaborazione con le autorità locali regionali sia in Toscana, che è il distretto produttivo della pelletteria, sia in Veneto dove si fanno calzature e occhiali. Recentemente abbiamo rilevato da Safilo il modulo produttivo di Longarone con la sponsorship e la mediazione regionale. Lo stabilimento che stiamo rinnovando secondo lo stile di Thélios (l'azienda di occhiali inaugurata nel 2018 cui Lvmh ha già dovuto aggiungere una seconda unità produttiva prima di questa, ndr) darà presto lavoro a 250 persone».

Come se la cava in Toscana dove lo scorso giugno avete inaugurato con una grande sfilata la fabbrica di pelletteria Fendi, nella campagna di Bagno a Ripoli?

«Abbiamo un buon dialogo con il presidente della Regione Giani e con il sindaco di Firenze, Nardella, sulle nuove aree d'insediamento. Non potrebbe essere altrimenti visto che siamo tutti lì nella stessa zona industriale a farci concorrenza. Secondo me bisogna allargare l'ecosistema dei distretti per risolvere il problema dell'occupazione».

Non pensa che l'Italia avrebbe bisogno di migliorare il sistema scolastico in generale e quello tecnico in particolare?

«La maggior parte dei dipendenti sotto i 32 anni che lavorano nelle nostre fabbriche di Thélios vengono dagli istituti tecnici locali che formano specialisti degli occhiali».

Però non abbiamo una scuola di stilismo prestigiosa come la Saint Martin di Londra oppure il Bunka college di Tokyo.

«Eppure molti dei migliori stilisti sono italiani ed escono dalle nostre scuole. Penso a Maria Grazia Chiuri, la prima donna alla guida creativa di Dior. Credo che il senso estetico come quello della gastronomia faccia parte della nostra natura e penso che questa predisposizione debba mescolarsi e aprirsi con il mondo creando un'energia e un background culturale forte».

Perché le piace dire che l'età aggregata delle maison del gruppo è 8.300 anni?

«Perché siamo orgogliosi di essere i guardiani del tempo di tante storie imprenditoriali meravigliose. Siamo in un periodo interessante dove abbiamo quattro generazioni di clienti da soddisfare, con i giovani che si avvicinano prima al lusso e lo vivono più a lungo».

Qual è la vostra maison più antica?

«Le cantine del Clos des Lambray fondate nel 1365 in Borgogna. Se lo immagina un meraviglioso vino rosso con 700 anni di storia alle spalle?».

C'è qualche marchio a cui è particolarmente legato?

«Con Vuitton ho un rapporto molto stretto perché è il marchio più profittevole del mondo e nel gruppo ha un'importanza emotiva centrale. Sono legato anche a Sephora, una marca di retail che nel 2001, quando sono arrivato nel gruppo, era tanto piccola da destare parecchi dubbi e che lo scorso anno ha raggiunto 15 miliardi di fatturato. Sono anche molto vicino a una marchio di provincia come Loro Piana, forse perché anche mio padre era nel tessile e io mi riconosco nei valori della famiglia. Pigi Loro Piana è il perfetto interprete della storia di un'azienda che quest'anno compie un secolo. Sua cognata Luisa per noi è una vera musa, lo stile del brand è nato nel suo guardaroba e in quello del marito Sergio scomparso 11 anni fa».

Nel 2025 anche Fendi festeggerà i 100 anni, cosa farete per celebrarli?

«Sicuramente un libro che parte dall'incredibile storia della famiglia e dalle 5 sorelle. Ci saranno mostre ed eventi importanti tra cui una speciale sfilata sulle radici romane del marchio».

Lei è arrivato in LVMH una settimana dopo l'11 Settembre, ha superato la crisi finanziaria esplosa nel 2008, gli oltre due anni di Covid e adesso si trova davanti a due guerre. Come fa a mantenere i nervi saldi in mezzo a tante tempeste?

«In ognuno di questi casi il mercato del lusso ha avuto una battuta d'arresto mostrando però vitalità e recuperando in breve tempo. Nel 2008\2009 ci fu una discesa globale del 10% seguita due anni dopo da crescite double digit. Nel 2020 abbiamo avuto tante difficoltà con il Covid per rimbalzare ancora una volta nel double digit prima di riassestarsi. Così va il mondo».

Bernard Arnault ha dichiarato che lei è un uomo abitato dalla sua passione, qual è la sua passione?

«Portare un gruppo di persone a fare cose straordinarie con la leadership e con l'esempio visto che non posso interagire a livello personale con tutti. Questa è una delle tante cose che ho imparato da lui: tutti sanno che il sabato si presenta a sorpresa nei negozi del gruppo e basta questo per far capire a tutti quanto sono importanti i negozi».

Cosa ha pensato di lui quando vi siete incontrati la prima volta?

«Che era un signore molto diretto. Per prima cosa mi ha chiesto se mi piace lavorare tanto e poi abbiamo parlato di molte altre cose anche al di fuori del lavoro. C'è stato subito molto feeling».

Pensa sia capace di perdonare?

«Non ci ho mai pensato, ma spero di sì: errare è umano anche se a certi livelli sarebbe bene evitare».

Pensa che perdonerà mai John Galliano?

«Credo l'abbia già fatto».

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