"Gli inviti non bastano, è ora di far rispettare i divieti"

L'ex capo di stato maggiore: serve un Consiglio nazionale di sicurezza che prenda delle decisioni

Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore delle Forze Armate
Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore delle Forze Armate

Per superare l'emergenza Coronavirus serve un organismo che abbia potere decisionale: ne è convinto il generale Vincenzo Camporini, ex Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica e della Difesa ed esperto di politica internazionale.

Generale, l'Italia sta gestendo bene questa situazione?

«Ogni volta che c'è un problema, una crisi, una situazione in cui bisogna prendere delle decisioni, in questo Paese ci inventiamo una riunione con qualche ministro, esperto e qualche esponente dell'opposizione in modo del tutto occasionale. Quindi c'è un approccio dilettantesco alla soluzione dei problemi. È abbastanza inutile mettere regole dettagliate se poi non c'è la volontà esplicita di controllare che vengano rispettate. La fase del controllo è essenziale se si vuole che le decisioni prese abbiano efficacia».

Quale potrebbe essere la soluzione?

«Negli altri Paesi esistono degli organismi che in genere si chiamano Consiglio nazionale di Difesa o Consiglio nazionale di sicurezza. Ci sono negli Stati Uniti, in Francia, in Gran Bretagna (il gabinetto ristretto). Quindi si sa a priori quando c'è un problema chi bisogna chiamare e chi deve prendere le decisioni che, una volta prese, vengono applicate. Da noi questo non c'è, ognuno fa quel che gli pare. Ci si riunisce, si dicono certe cose, dopodiché si va in televisione e si dice il contrario. Non è così che si gestiscono le crisi. Ripeto, servirebbe un Consiglio nazionale di sicurezza come hanno gli altri».

Ma l'Italia non ha già una cosa simile a livello di Forze armate?

«Nel campo della Difesa noi abbiamo il Consiglio supremo di Difesa, organo di rilevanza costituzionale che, però, funziona in base alla legge istitutiva che lo configura come organismo di altissima consulenza del Presidente della Repubblica. Io partecipavo alle riunioni dove si dicevano tante belle cose, alla fine ci si alzava e il ministro faceva quello che gli pareva. Quindi, da questo punto di vista, è indispensabile che si istituzionalizzi un organo decisionale collettivo dove chi ha competenze e responsabilità possa eventualmente ascoltare anche gli esperti, prendere delle decisioni e attuarle in modo coordinato».

Per lei le misure fin qui prese dal governo sono efficaci?

«Non sono un esperto di epidemiologia. A buon senso posso dire che alcune le condivido e altre no».

Molti sono i militari malati. Qualcuno propone di richiamare i riservisti. È fattibile?

«Un conto è la riserva selezionata, fatta da professionisti in numero limitato che hanno certe competenze e quindi possono essere utili, ma certamente non risolutivi. Coloro che hanno fatto la leva potrebbero essere giuridicamente richiamati. Si tratta di uomini che hanno fatto il servizio militare negli anni Novanta. Non vedo con quali compiti e a quale scopo perché dovrebbero essere riaddestrati visto che l'addestramento non si è fatto più. Questa è un'ipotesi che lascia il tempo che trova».

E i tagli in tempo di Coronavirus non aiutano...

«Le forze armate hanno subito negli ultimi dieci anni dei tagli considerevoli. La sanità, ad esempio, è un caso drammatico. Avevamo 7 ospedali militari distribuiti sul territorio nazionale. Ora abbiamo solo il Celio.

A suo tempo avevo spinto per una integrazione interforze delle capacità mediche delle forze armate che per gelosie di parrocchia non si è mai realizzata. In più c'è stata una grande prudenza nel definire i rapporti tra la sanità militare e il servizio sanitario nazionale. Ma per questa emergenza sarebbe stato utile integrare le due realtà». ChG

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