"Io assolto, ma distrutto dal Sistema"

Laudati accusato di favorire il Cav: "Contro di me scatenato l'inferno"

"Io assolto, ma distrutto dal Sistema"

«Nessuna sorpresa, solo il riacutizzarsi di un dolore mai sopito». Le rivelazioni di Luca Palamara ne «Il Sistema» di Alessandro Sallusti sono una ferita che si riapre per Antonio Laudati, oggi sostituto procuratore alla direzione nazionale Antimafia, ma dieci anni fa un'altra «vittima» del sistema raccontato dall'ex magistrato.

Nel 2009 Laudati era stato appena nominato procuratore a Bari quando scoppiò il caso D'Addario con l'inchiesta sulle escort a carico dell'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini. «Ero il più giovane d'Italia e un magistrato nel pieno della carriera», ricorda. Ignaro allora che dopo quella nomina avrebbe dovuto affrontare un calvario di processi in tribunale e procedimenti disciplinari al Csm lungo dieci anni, sempre assolto da ogni accusa.

Il Sistema

Quando si insedia a Bari, Laudati trova «clamore mediatico e una fortissima tensione politica perché l'inchiesta riguardava indirettamente l'allora premier Berlusconi (non indagato a Bari, ndr)». Tutte le indagini «erano sistematicamente riportate sui media». Laudati tenta di fermare le fughe di notizie, di distinguere tra intercettazioni rilevanti e non: «Decido disporre che fossero custodite presso la mia segreteria e che si utilizzassero solo le quelle pertinenti al fatto reato. Da quel momento non vi furono più fughe di notizie. Pensavo di aver fatto rispettare il codice di procedura penale. Non era così». Contro di lui partono gli esposti al Csm. Anche quello dell'allora collega sostituto procuratore di Bari, Giuseppe Scelsi. Laudati viene accusato di rallentare l'inchiesta e finisce sotto procedimento disciplinare. L'accusa è anche quella di aver tutelato così l'immagine istituzionale dell'allora premier Silvio Berlusconi. Per lo stesso motivo finisce imputato a Lecce, per abuso d'ufficio e favoreggiamento personale. Sempre assolto. E oggi può sfogarsi su «Quarta Repubblica» a Rete4.

È Palamara a rivelare come quel tentativo di fermare le fughe di notizie gli costò il sospetto «di connivenza con Berlusconi. Allora non era possibile difenderlo», ricorda l'ex magistrato. «Avrebbe significato fare passare Berlusconi come vittima di magistrati scellerati». Infatti, «da quel momento contro di me si è scatenato l'inferno - rammenta il procuratore - Non era possibile ammettere che le accuse nei miei confronti erano infondate perché ciò avrebbe significato ammettere che il diverso comportamento tenuto da altre Procure e da altri magistrati nei confronti di Berlusconi costituiva una forzatura. In quel momento storico, in cui la magistratura era governata dalle correnti di sinistra unitamente a Palamara, mi è piombata addosso la accusa più grave e più infamante per un magistrato: quella di aver aiutato Berlusconi. Ovviamente era del tutto infondata, avevo solo applicato la legge, ma fu tutto inutile sono stato estromesso da tutto. D'altra parte colpirne uno per educarne cento».

Si è ritrovato così da inquirente a imputato, sia in sede disciplinare al Csm che penale nell'inchiesta aperta a Lecce: «Un'esperienza terribile. Ci ho messo dieci anni per essere assolto da tutto. Ho sempre pensato: se questo è successo a me che sono un Procuratore figuriamoci cosa può succedere al cittadino qualunque».

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