Gli ipocriti del business dei profughi

L'industria dell'immigrazione continua a sfornare morti annegati e buone intenzioni, che fioriscono a ogni naufragio senza che se ne venga a capo

Bimbi profughi al posto di confine di Horgos, tra Serbia e Ungheria
Bimbi profughi al posto di confine di Horgos, tra Serbia e Ungheria

L'industria dell'immigrazione continua a sfornare morti annegati e buone intenzioni, che fioriscono a ogni naufragio senza che se ne venga a capo. La prospettiva di risolvere il problema affondando i barconi, prima che diventino il mezzo di trasporto di migliaia di invasori dell'Europa, ha sollevato le reazioni indignate delle anime belle; reazioni che sono, poi, l'aspetto ipocrita di chi dall'immigrazione trae un qualche beneficio economico e sociale e a esso non vuole rinunciare. A nessuno è passato per la testa che fino a quando ci si indignerà alla prospettiva di debellare il traffico di immigrati con mezzi militari adeguati i mercanti di uomini continueranno a fare il loro sporco mestiere e l'industria dell'immigrazione continuerà a fiorire.

L'ultimo a sollecitare l'Unione europea a provvedere è stato generosamente il presidente della Repubblica. Ma l'Ue non pare esserne interessata, né avere i mezzi per provvedervi. Sollecitazioni come quella del buon Mattarella rimangono intenzioni con le quali si fa qualche concessione alle coscienze emotivamente toccate da ogni naufragio e dai morti annegati che ne conseguono, senza che ne sortisca un qualche effetto. Invocare l'intervento dell'Ue è fiato sprecato e aspettarsi che qualcosa faccia almeno il nostro governo è tempo perso. La cruda verità è che sia l'Europa, sia il governo Renzi, per non parlare di quelli che lo hanno preceduto, non hanno formulato alcuna politica dell'immigrazione e sono stati colti di sorpresa dalla crescita esponenziale dei flussi migratori non sapendo palesemente come arrestarli. Troppi interessi ci sono dietro gli sbarchi perché gli inviti a fare qualcosa sortiscano un qualche effetto.

Bisognerebbe prendere il problema per il collo, incominciando col formulare una politica di investimenti nei Paesi dai quali partono gli immigrati allo scopo di impedire di fatto che partano, offrendo loro opportunità di lavoro e di una vita decente in patria. Ma certe esperienze disastrose, e scandalose, del passato - quando la politica di cooperazione si era risolta in un finanziamento occulto dei partiti - lo sconsigliano. C'è già fin troppa dispersione di risorse finanziarie, che finiscono nel calderone della corruzione, per immaginare di ripetere certe esperienze. Così, rimane solo l'adozione di soluzioni radicali militari contro i trafficanti. Ma fino a quando solleveranno ondate di (finta) indignazione com'è accaduto negli ultimi giorni, anche questa soluzione resterà nel limbo delle cose da fare.

Il probabile risultato sarà la colonizzazione dell'Europa a opera di un'immigrazione islamica o, peggio, l'aumento del terrorismo e della criminalità organizzata, la fine della nostra civilizzazione. I primi sintomi già si avvertono col cretino divieto di legge di aggiungere l'attributo islamico al sostantivo estremismo; poi verrà l'obbligo, anche alle donne di altre religioni, di indossare il chador che le donne musulmane già indossano sulle nostre strade; infine l'imposizione di una morale, quella islamica, diversa. Di fronte a tale catastrofica prospettiva la soluzione più logica sarebbe l'affondamento dei barconi prima che facciano il loro cattivo servizio e la condanna dell'industria dell'immigrazione. Ma l'Occidente democratico e cristiano ne avrà il coraggio e la forza, anche morale, necessari? C'è da dubitarne, almeno fino a quando ci saranno anime belle pronte a ipocritamente scandalizzarsene e a impedirlo, non per buonismo, come lo si definisce per comodità morale, bensì per interesse.

In definitiva.

L'industria dell'immigrazione è fatta di troppi interessi concomitanti perché la si possa debellare con le buone intenzioni e fino a quando non si andranno a colpire quegli interessi, non solo quelli degli scafisti, non se ne uscirà.

piero.ostellino@ilgiornale.it

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