
Una giornata di diplomazia e sangue per l'Iran. Poco prima dei colloqui indiretti in Oman tra Washington e Teheran sul programma nucleare, una mega-esplosione è avvenuta nel porto commerciale più importante dell'Iran, dal quale transita oltre il 70% delle merci. Il sito è quello di Shahid Rajaee, mille km a sud di Teheran. Almeno 8 i morti e oltre 750 i feriti nella deflagrazione sentita fino a 50 km di distanza e il cui incendio non era ancora spento a fine giornata, con il rischio che si propaghi ad altre zone, tanto che scuole e uffici nell'area oggi resteranno chiusi.
Subito si sono addensati i primi sospetti su Israele, che nel 2020 lanciò un attacco cyber contro il porto e da mesi minaccia un'azione militare se Teheran non smantellerà il suo programma nucleare. L'ufficio del premier Netanyahu non ha voluto commentare, un funzionario israeliano ha negato che Israele abbia avuto un ruolo. Eppure i contorni dell'incidente restano dubbi. Secondo fonti iraniane, a causarlo sarebbe stata un'esplosione chimica all'interno dei container e la tv di Stato ha parlato di «gestione impropria» del materiale. Per la società di sicurezza privata Ambrey è probabile che di mezzo ci sia il carburante per missili arrivato a marzo dalla Cina per aiutare l'Iran a ricostituire le scorte missilistiche esaurite dopo gli attacchi contro Israele.
Nei mesi scorsi, dopo gli attacchi del regime degli ayatollah, Tel Aviv ha preso di mira siti missilistici iraniani, mentre preme sugli Usa per un'azione militare contro il nucleare di Teheran. Un'azione sulla quale Donald Trump frena. Prima dei colloqui di ieri in Oman, il leader Usa si è detto fiducioso: «Credo troveremo un accordo. Sarebbe un bene per l'umanità». A Time ha spiegato di voler lasciare la scelta di un possibile attacco a Israele ma di preferire un'intesa alle bombe.
A un accordo si è lavorato anche ieri, terzo round di colloqui, dal quale è emerso che tra Usa e Iran ci sono differenze «serie», «sia sulle questioni principali che sui dettagli» - ha spiegato il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi - e sul quale i rappresentanti di Teheran si dicono «cauti» ma «fiduciosi». Anche per gli Stati Uniti i negoziati sono stati «positivi e costruttivi», ma «c'è ancora molto da fare».
Il prossimo round si svolgerà il 3 maggio. Al Cairo, intanto, si tratta per un altro accordo, quello su Gaza. Hamas si è detta pronta a liberare tutti i rapiti in cambio di 5 anni di tregua. Ma nella Striscia i raid continuano: oltre 51mila i morti.
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