Taghi Rahmani è il marito della Premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi. Ci risponde da Parigi dove è in esilio e vive con i figli gemelli che non vedono la madre da 8 anni. Mohammadi prosegue la sua lotta dal carcere in Iran e dal 2019 si rifiuta di presentarsi ai processi-farsa. Rahmani ci appare provato, ma convinto che si debba andare fino in fondo nella battaglia.
Sono giorni importanti per sua moglie dopo il premio...
«Il 6 ottobre, quando c'è stato l'annuncio, era in carcere. In mattinata un'altra detenuta aveva avuto un colloquio con il marito che le aveva dato la notizia. La sera la tv di Stato ha cercato però di screditare il premio».
Ora è iniziato un nuovo processo...
«Narges in carcere non è mai stata in silenzio. Ha cinque capi d'accusa. Ma questi processi sono una farsa perché le sentenze sono già decise dagli organi di sicurezza. Il potere giudiziario non fa che ufficializzare quello che è imposto dall'alto».
In che condizioni vive Narges?
«Nella sezione in cui si trova ci sono 52 donne, tutte attiviste e giornaliste. Ciò che preoccupa è che potrebbe essere spostata dal carcere di Evin e messa assieme a persone accusate di omicidio e furto. È uno strumento di pressione e potrebbe essere fatto per isolarla, ma è contro ogni convenzione internazionale perché dovrebbe stare con detenuti accusati di reati simili ai suoi».
Cosa pensa degli sforzi dei governi occidentali per far rispettare i diritti umani?
«Per Narges non sono sufficienti perché non sono i diritti umani una priorità, ma lo sono le questioni energetiche».
Dopo la morte di Mahsa Amini è cambiato qualcosa?
«Gli iraniani sono diventati più coraggiosi e il regime ha perso legittimità. Le donne non hanno più paura di non indossare il velo. Nelle università alcuni studenti sono stati interdetti dallo studio. Sotto la bandiera del velo ci sono pensionati, insegnanti, attivisti che protestano per i salari».
Cosa pensa sua moglie dell'obbligo del velo?
«È contro ogni forma di imposizione contro i diritti umani. La polizia, che dovrebbe farlo rispettare, terrorizza tutti, anche gli uomini. Il velo non ha a che fare solo con la religione, è una discriminazione contro le donne e un abuso di potere».
Quale sarà il destino di Narges?
«Dipende da come la comunità internazionale riuscirà a fare pressione sul regime. Narges dice sempre che se uscisse di prigione ma non riuscisse a fare l'attivista sarebbe come rimanere in carcere».
Ci parla delle sue qualità?
«Crede fermamente nel rispetto dei diritti umani. Ha una grande resistenza. Dedica la sua vita alla gente. Un esempio per lei è stata Haleh Sahabi, uccisa nel 2011 perché ha partecipato ai funerali di suo padre, anche lui attivista. È stata percossa così violentemente che ha avuto un infarto».
Qual è il sogno di Narges?
«Ha scritto alcune lettere dal carcere ai figli in cui ha detto: Non sono stata presente come madre, ma spero che i ragazzi e le ragazze in Iran possano vivere in un Paese libero».
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