La vicenda della chiusura del Colosseo legata ad una assemblea sindacale ha nuovamente riacceso il conflitto, più o meno latente, del presidente del Consiglio versus le confederazioni dei lavoratori. A fronte delle molte proteste e dei diffusi commenti critici per il modo in cui sono stati trattati i turisti, il governo, su iniziativa del ministro della Cultura Dario Franceschini, ha subito emanato un provvedimento. Contro il quale hanno immediatamente preso posizione le organizzazioni sindacali.
Le ostilità tra alcune posizioni espresse dal governo e quelle di una parte (la Cgil, in particolare) o tutti i sindacati datano ormai da diverso tempo. Renzi - ma non solo lui - ha definito i sindacati come arretrati e poco in sintonia con le esigenze di rinnovamento del Paese. Dall'altra parte, Susanna Camusso ha fortemente contestato l'esecutivo guidato dall'ex sindaco di Firenze in occasione di molti suoi provvedimenti: dal Jobs Act alla riforma della scuola a molti altri ancora.
Questo contrasto riflette una diversità di posizioni presente in tutta l'opinione pubblica. Molti vedono le iniziative e le scelte delle organizzazioni sindacali del nostro Paese come un ostacolo di fatto allo sviluppo dello stesso. Molti altri, viceversa, ritengono ancora valida e «progressiva» l'azione delle organizzazioni dei lavoratori.
Queste posizioni «spaccano» in due il Paese, dato che trovano un seguito quasi eguale tra gli italiani. Anche se la prima è relativamente più diffusa. Vale a dire che, oggi, buona parte della popolazione ritiene che «alcuni sindacati sono un ostacolo allo sviluppo del Paese». Assume questa posizione critica la maggioranza dell'elettorato: poco più del 49%. Ad essa si contrappone il 42% che ritiene che «il sindacato continua in generale a svolgere un ruolo essenziale».
Si tratta di un mutamento radicale della pubblica opinione. Vent'anni fa, il sindacato era una delle istituzioni più apprezzate e verso la quale si nutriva maggiore fiducia. Era considerato una sorta di baluardo della sinistra e della spinta al progresso e al rinnovamento. Molti, tra i militanti di sinistra degli anni Settanta scelsero il sindacato come ambito più favorevole a perseguire i loro ideali. Oggi solo il 25% degli italiani dichiara di provare fiducia per le organizzazioni dei lavoratori. Una vera e propria rivoluzione nella cultura del Paese. In qualche modo, si può affermare che lo stesso governo Renzi è, per molti aspetti, espressione di questo cambiamento.
Ma i due gruppi contrapposti di cui si è detto - coloro che ritengono un «ostacolo allo sviluppo» il sindacato e coloro che gli attribuiscono un ruolo importante - sono assai dissimili tra di loro. Soprattutto per età e condizione sociale. Appaiono infatti più critici verso le organizzazioni sindacali i più giovani, mentre sul fronte opposto - con un giudizio migliore verso i sindacati - si schierano le persone oltre i sessant'anni, specialmente quelle che hanno un titolo di studio più basso. Si tratta con tutta evidenza dei sindacalizzati di un tempo che rimangono affezionati alla loro tradizione. Mentre le generazioni più nuove hanno un orientamento estremamente più critico. Lo si vede anche dalle iscrizioni al sindacato: che è composto per lo più da pensionati, mentre fa fatica a reclutare le ultime generazioni. Non a caso, anche dal nostro sondaggio emerge come l'atteggiamento più favorevole verso un ruolo ancora propositivo del sindacato si rilevi tra i pensionati - e tra le casalinghe - mentre persino tra gli operai - e ancor più tra gli impiegati - si manifesti un atteggiamento assai più critico. Ben il 61% dei «colletti bianchi» ritiene che i sindacati (o alcuni sindacati) costituiscano un ostacolo allo sviluppo del Paese.
È interessante notare come questa differenziazione generazionale e sociale sia trasversale all'elettorato di tutti i partiti. In altre parole, l'atteggiamento pro o contro il ruolo dei sindacati non dipende principalmente dall'orientamento politico: nell'elettorato di tutti i partiti si manifesta - naturalmente in misura maggiore nel centrodestra - un atteggiamento critico. Che risulta dipendere nettamente dalla generazione cui si appartiene. È importante precisare che la critica verso il ruolo - e le proposte - attuali del sindacato non significhino necessariamente che si pensi che non esista più la problematica del conflitto tra aziende e lavoratori e che questi ultimi non necessitino più di una rappresentanza adeguata. Per la verità, una parte importante della popolazione - quasi il 40% - è di questo parere (ancora una volta, specialmente i più giovani) e dichiara che «il conflitto tra lavoratori e aziende ha perso di rilevanza». Ma la maggioranza degli italiani (non ampia come sarebbe stato un tempo, ma pur sempre la maggioranza), pari al 52%, ritiene che i lavoratori e le aziende siano ancora in conflitto tra loro.
Resta il fatto che anche questa posizione «conflittuale» appare, considerando le caratteristiche di chi la esprime, sempre più un residuo del passato. Ancora un volta, sono gli anziani e coloro che posseggono bassi titoli di studio a sostenerla maggiormente.
Il sostegno verso le posizioni sindacali appare dunque fortemente in crisi nell'opinione pubblica. Sarebbe necessario un forte ripensamento del loro ruolo da parte di queste ultime. Ma, per ora, non ve n'è grande traccia.
Sondaggio: Eumetra S.r.l.
Campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne
Metodo: CATI, Casi: 800
Margine di errore: 3,5%
Data di rilevazione:
18-21 settembre 2015
La documentazione completa è disponibile sul sito
www.sondaggipolicoelettorali.it
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