Jacinda lascia: "Sono stanca. E umana"

La premier neozelandese Ardern si dimette a sorpresa: "Non ho più abbastanza energie"

Jacinda lascia: "Sono stanca. E umana"

«Non ho più abbastanza energia per rendere giustizia al mio lavoro». Con questa ammissione, tanto sincera quanto rara e spiazzante, dopo cinque anni e mezzo di governo, Jacinda Ardern, 42 anni, ha annunciato a sorpresa che lascerà il suo incarico di primo ministro della Nuova Zelanda e ha convocato nuove elezioni per il 14 ottobre, tra nove mesi. «Sono umana. I politici sono umani», ha detto con la voce rotta dalla commozione, spiegando che resterà in carica non oltre il 7 febbraio. «Diamo tutto quello che possiamo e per tutto il tempo che possiamo, e poi è il momento. E per me quel momento è arrivato», ha ammesso in una dichiarazione che resterà negli annali della politica per la sua cruda e disarmante sincerità. Infine le due note personali. La prima per la figlia, Neve: «Non vedo l'ora di festeggiare i tuoi 5 anni e il primo giorno di scuola quest'anno». La seconda per il compagno, Clarke Gayford, conduttore di un programma tv di pesca e cucina, che durante il mandato è stato il «caregiver» della famiglia, rimanendo a casa: «Ora sposiamoci», gli ha detto dopo il rinvio causato dal Covid.

«Siate forti, siate gentili», è stato l'appello e lo slogan ai neozelandesi della premier Ardern in questi anni difficili, segnati dalla pandemia, dal peggior attentato nella storia del Paese e dall'eruzione del vulcano Whaakari. Nessuno più di lei, diventata capo di governo a 37 anni, la più giovane al mondo sei anni fa, la più giovane degli ultimi 150 anni in Nuova Zelanda e la seconda nella storia a diventare mamma durante il mandato, ha incarnato così bene quel soft power che l'ha resa famosa a livello planetario, antitesi al machismo imperante alla Donald Trump, eletto anche lui nel 2017. Un potere morbido, non aggressivo e compassionevole, che è valso alla premier neozelandese il plauso e l'ammirazione dei leader e dell'opinione pubblica internazionale, e che rispecchia lo stile umile con cui ha annunciato la sua uscita di scena. Una lezione per tutti, in un contesto di leader che faticano a lasciare la poltrona, in un mondo, quello della politica, spesso abitato da lupi intenti a esibire aggressività verbale e pugno duro per affermare la propria superiorità.

Lady Ardern, invece, ha cercato di costruire ponti invece che abbatterli, di lavorare per l'unità del Paese. E le «sfide» - lo ha ricordato lei stessa - non sono mancate. Difficilissimo il momento attraversato dal Paese in occasione degli attentati del 2019 a Christchurch, quando due sparatorie contro altrettante moschee fecero 51 morti per mano di un suprematista bianco. Allora Ardern indossò il velo e offrì conforto e consolazione alla comunità islamica sotto attacco, cercando di stemperare gli animi. Altrettanta compassione le servì, poco dopo, quando la Nuova Zelanda pianse 21 morti per l'eruzione del vulcano. Fino al 2020 quando, con pragmatismo e massima efficienza, gestì l'emergenza Covid, introducendo lockdown e chiusura delle frontiere senza tergiversare già dopo i primissimi casi.

«Sono stati gli anni più appaganti della mia vita», ha detto ieri. Ma ora si volta pagina. E la premier Ardern dimostra che essere leader capaci vuol dire anche saper riconoscere quando è il momento di farsi da parte. Dopo aver portato nel 2020 il Partito laburista a una vittoria storica e alla formazione del primo governo di maggioranza dall'introduzione del sistema proporzionale nel 1996, Ardern sa che alle prossime elezioni i Laburisti sono a rischio, a causa della recessione provocata dalle turbolenze internazionali.

E teme di non poter essere la persona in grado di portarli alla vittoria. «Me ne vado - dice - perché da un lavoro così privilegiato deriva una grande responsabilità. La responsabilità di sapere quando sei la persona giusta alla guida, e anche quando non lo sei». Giù il sipario. E applausi.

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