Marcello Jacobs fa bene a non addormentarsi, anche se, prima o poi, dovrà ammettere che il bello di questo viaggio nel cuore nobile dell'Olimpiade, nella storia dello sport italiano, non è cominciato quando è partito dall'Italia, ma quando ha iniziato a sognarlo. Ieri sistemando orecchini, collane, l'anellino sulla narice, rispondendo a tutti, gente vera, amici, dubbiosi, invidiosi, sospettosi, con la stessa grazia mostrata nei suoi 45 passi dorati per fare 100 metri, andando oltre i 43 all'ora ha provato a chiedere ancora se era tutto vero.
Nel timore che lo invitino anche a Yokohama per un nuovo tatuaggio del maestro Horiyoshi, noi ci siamo fermati davanti al palazzo imperiale dei velocisti dove Usain Bolt il magnifico, cullando i suoi gemelli, lo ha invitato dopo aver scoperto che il ragazzo di El Paso, cresciuto a Desenzano del Garda, correndo dietro alla moto del nonno Osvaldo, ha il quinto tempo nelle finali olimpiche, dietro a lui signore di Londra 2012 (963) e Pechino 2008 (969), a millimetri dai battuti nell'arena londinese Blake (975) e Gatlin (979), lo stesso tempo maledetto di Ben Johnson, prima che a Seul venisse bandito per lasciare lo scettro al 992 di Lewis. Come ha detto l'ex Stefano Tilli il Marcello di oggi non sbaglia un colpo e può diventare un punto di riferimento se la sua mente resterà libera e le gambe risponderanno anche al cuore come gli ha insegnato l'allenatore Camossi, triplista con oro mondiale indoor al collo che deve aver passato notti insonni per convincere e convincersi che quel lunghista di talento che si faceva male troppo spesso avrebbe trovato la vera gloria su quella striscia di 100 metri. Scarpe da velocista e non più da saltatore, piume per piedi che devono sopportare una bella massa di muscoli, 79 chili per un omone di quasi 1 metro e novanta. Le nuove scarpe certo aiutano l'evoluzione della specie nella famiglia esclusiva del muscoli di seta, già a gennaio qualcuno ipotizzava che potessero far volare oltre il muro alzato da Usain Bolt, così come deve essere stato davvero amico fedele quel manto che sicuramente ha dato a quasi tutti una maggiore energia cinetica. Il fatto che i maestri costruttori siano di Alba, gli artisti della Mondo che dal 1976 collaborano con il Comitato Olimpico, crea i sospetti a prescindere. Ai mondiali di Tokyo era il 1991, nel giorno del duello epico sulla pedana del lungo fra Powell e Lewis c'erano più giornalisti a caccia di scandali che impegnati a seguire le gare. Certo che il peccato esiste, per questo gli atleti fanno controlli continui, certo che molti sono stati scoperti a barare, ma lo stupore non può diventare calunnia e le scarpe che fanno volare le hanno tutti. Ora, nel mondo rosicante, pensate come si sono scomposti gli inglesi dopo la finale europea del calcio, figurarsi se in giro non si sono visti nasini all'insù come ai tempi in cui Mennea faceva impazzire la corte dell'Equipe, perché i francesi, come magari gli americani oggi, sorpresi di non conoscere il ragazzo di El Paso cresciuto sul lago di Garda, restavano perplessi davanti ad imprese, progressi tipo quelli del Jacobs che non era il favorito di nessuno.
Certo che è stata una grande e bellissima sorpresa, ma i suoi passi di bimbo all'inizio nel mondo indoor della stagione, poi il record italiano a Savona, quella batteria in cui ha cancellato un primato europeo che resisteva da anni, ci dicono che tutto è stato fatto per bene, liberando la mente del campione, grande allenatore in pista, giusta guida la psicologa fuori dall'arena, spiegano tanto.
Come gli sforzi per far diventare una partenza atipica la base di lancio del missile che al signor Bolt, l'uomo dell'impossibile, può sempre ricordare come il 980 di Tokyo sia meglio del 981 che servì al più grande per conquistare l'oro di Rio cinque anni fa, lasciando ben lontani il Bailey di Atlanta (1996) e il Kerley che era stato davanti a Marcello fino ai 60 metri e poi ha trovato soltanto argento dopo il traguardo.
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