Armi da guerra per la Curva Nord. La polizia ha scoperto un deposito con pistole, kalashnikov, bombe a mano, granate, mitragliette, giubbotti antiproiettile e centinaia di munizioni in un capannone a Cambiago, nel Milanese. L'arsenale sarebbe riconducibile al gruppo più violento degli ultrà interisti, quelli finiti in carcere a settembre nell'inchiesta della Dda «Doppia curva» sulle infiltrazioni criminali in entrambe le tifoserie, la nerazzurra e la rossonera.
La Squadra mobile ha arrestato per detenzione di armi da guerra Cristian Ferrario, 50 anni. Ferrario, nato a Cernusco sul Naviglio, era molto vicino ai capi ultrà Andrea Beretta e Antonio Bellocco. Il secondo ucciso dal primo in un agguato a inizio settembre. Il magazzino scovato in un box sarebbe nella disponibilità di Ferrario, sebbene si trovi non lontano da un immobile di Beretta e sia intestato a una delle società della galassia dei vertici della Nord. Il 50enne era in pratica l'usufruttuario del deposito. La perquisizione del magazzino da parte della Mobile è cominciata nel tardo pomeriggio di venerdì ed è andata avanti fino all'alba di ieri. Il materiale, che è stato sequestrato, era talmente corposo che l'inventario delle armi ha richiesto molte ore anche nella giornata di ieri. Armi e ordigni sarebbero tutti autentici e in ottimo stato. L'operazione era scattata nell'ambito delle indagini sul 50enne poi arrestato. Sul posto è arrivata anche la polizia Scientifica.
Ferrario era dipendente del negozio di gadget della Curva nerazzurra «We are Milano», gestito da Beretta (che si trova in carcere) e ora chiuso. Nella retata di settembre della Dda il 50enne era finito ai domiciliari. Successivamente il gip lo aveva liberato, applicandogli la misura dell'obbligo di dimora. Il pm Paolo Storari gli contestava di essere stato «prestanome» di Beretta e Bellocco. Ferrario avrebbe ricevuto 40mila euro «con una causale fittizia: restituzione per cucina», in realtà destinati ai due capi ultrà. La somma, secondo le indagini, sarebbe stata il «corrispettivo della protezione mafiosa fornita» da Bellocco e Beretta a un imprenditore che «aveva effettuato investimenti in Sardegna, osteggiati attraverso atti vandalici». L'ultrà interista era accusato quindi dei reati di associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori. La Procura aveva chiesto anche per lui il carcere, non concesso a suo tempo dal giudice.
Quando a ottobre il gip Domenico Santoro lo ha interrogato e poi ha attenuato la misura a suo carico, ha scritto nell'ordinanza di revoca dei domiciliari che le sue dichiarazioni, rese con il supporto dell'avvocato Mirko Perlino, con cui «ha ammesso l'addebito» anche in merito ai
rapporti con i coindagati, consentivano di «apprezzare un percorso di rivisitazione rispetto all'apporto offerto al disegno criminoso dei coindagati e di consapevolizzazione». Questa volta Ferrario è finito a San Vittore.
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