A otto anni dagli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, che fecero 130 morti per mano di un commando di dieci attentatori islamisti, Salah Abdeslam, l'unico terrorista sopravvissuto alla carneficina, indigna i parenti delle vittime denunciando un «trattamento disumano» in Francia e ottenendo la possibilità di scontare il carcere in Belgio, dove potrebbe anche essere liberato tra 15 anni.
C'è sconcerto in Francia per gli sviluppi di un caso giudiziario che suona come una schiaffo allo Stato francese e soprattutto a chi ha perso i propri cari, trucidati al Bataclan, nei locali dell'11esimo e 12esimo arrondissement e allo Stade de France. Un rospo ancor più difficile da ingoiare perché protagonista della vicenda è un jihadista, nato in Belgio ma cittadino francese, che non ha mai smesso di rivendicare di essere un estremista islamico nemmeno durante lo storico processo che si è chiuso a giugno a Parigi. Alla domanda su quale fosse la sua professione, alla Corte che lo ha poi condannato all'ergastolo, senza possibilità di sconti né di permessi prima di trent'anni, Salah ha risposto secco e sfrontato: «Sono un combattente dello Stato islamico». I giudici non hanno mai creduto alla sua versione dei fatti, a un ripensamento dell'ultimo momento nel giorno degli attentati, che lo avrebbe spinto a non farsi saltare in aria. Sono certi che Abdeslam sia sopravvissuto solo perché il suo giubbotto esplosivo non ha funzionato. Come se non bastasse, dopo il massacro di Parigi, tra cui figura anche il fratello-kamikaze Brahim, Salah è stato arrestato in Belgio e poi condannato per gli attentati di Bruxelles del 2016, che fecero 32 morti.
È nelle pieghe di questa vicenda che il terrorista ora trova il modo di sfuggire alla condanna francese. I giudici parigini avevano concesso a Abdeslam di spostarsi in Belgio «temporaneamente», per affrontare l'altro processo. Ma il suo rientro in Francia, previsto entro il 12 ottobre, non è mai avvenuto, «sospeso temporaneamente». I suoi legali sostengono che la condanna subìta in Francia - la cosiddetta «perpétuité incompressible», una sorta di ergastolo ostativo che non consente né sconti né permessi prima dei trent'anni di carcere - non conceda «nessuna speranza di liberazione, nessuna prospettiva di reinserimento» e violi i diritti umani del condannato. La Corte d'appello gli ha dato ragione, citando l'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che vieta pene disumane o degradanti. Se la decisione provvisoria venisse confermata, tra 15 anni Abdeslam potrebbe anche chiedere la liberazione in Belgio.
Il ministro della Giustizia Éric Dupond-Moretti non ha ancora proferito parola sulla questione. Chi invece commenta disgustato sono i parenti delle vittime. «È semplicemente scioccante, inaccettabile», spiega il presidente dell'associazione «Life for Paris», Arthur Denouveaux. «Abbiamo fatto tutto nelle regole in Francia. Abdeslam non ha nemmeno fatto appello alla sentenza nel nostro Paese e ora quel giudizio viene contestato dalla giustizia belga che viene a dire a un Paese democratico di non essere d'accordo sulla pena inflitta in Francia. E dice che non lo restituirà al nostro Paese».
Il 17 ottobre un tribunale belga dovrà confermare o invalidare la decisione della Corte d'Appello di Bruxelles. Abdeslam, che in Francia si trovava in un carcere di massima sicurezza, in stato di isolamento, resta intanto nella prigione di Haren, a Bruxelles, dove ha diritto a visite e telefonate.
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